Il numero di marzo di RIGENERA(TI) si apre con un editoriale del presidente AUDIS Tommaso Dal Bosco che lancia due provocazioni sui temi della casa e della mobilità. In estrema sintesi, la proposta è quella di adottare politiche forti e coraggiose per disincentivare la piccola proprietà immobiliare e la proprietà di veicoli privati. Il tutto, ben inteso, accompagnato da servizi pubblici adeguati ai bisogni della popolazione. "La casa e l’automobile -scrive Dal Bosco- sono cose troppo serie, troppo impattanti sulla collettività sul piano ambientale, economico e sociale, per lasciarle all’arbitrio individuale dei singoli siano essi cittadini o imprese". Il tema dell'inefficacia delle soluzioni sin qui proposte dalla politica per arginare i problemi di natura ambientale, sociale ed economica è stato raccolto da Rosario Manzo (Agenzia del Demanio) che in questo articolo rilancia e sviluppa lo stimolo del nostro presidente invocando la necessità di una svolta culturale che però sembra ancora lontana da venire.
di ROSARIO MANZO (Agenzia del Demanio)
Ho letto l’editoriale di Tommaso “Due provocazioni in tema di casa e mobilità”, pubblicato nell’ultima newsletter di Audis e non ho potuto fare a meno di pensare come sia possibile reagire alla questione posta in chiusura che chiama in causa la rassegnazione ad un modo di (non) risolvere problemi di questa natura che riguardano Roma, ma anche molte altre città italiane, andando oltre la provocazione. Ma per fare questo, a mio avviso, occorre indagare meglio su alcuni aspetti che hanno caratterizzato – e ancora oggi condizionano – le “questioni” della casa e della mobilità. Anche io ometto di trattare il terzo punto di criticità richiamato nell’editoriale, i rifiuti, anche se la medesima matrice di origine, di cui proverò ad argomentare in questo scritto, può essere applicata anche a questo tema, rilevante almeno quanto gli altri, se non di più.
Parto dal ricordo della costruzione della linea tranviaria 8, che Tommaso considera un segno del fervore di Roma nei primi anni ’90 dopo il progressivo declino dagli anni ’30 agli anni ’60 della rete romana su ferro – perché, tra l’altro, non considerato un mezzo “moderno” rispetto all’automobile. Effettivamente questa linea ha costituito un collegamento importante, che avrebbe dovuto avere uno sviluppo maggiore, partendo dalla stazione Termini. Oggi, dopo circa trent’anni di esercizio, la linea è in ristrutturazione, forse sarà nuovamente disponibile a maggio, con nuovi mezzi e binari appoggiati su traverse in prefabbricato e non in legno, nuovi scambi e smorzatori. Tutto questo per dire, che avendo fatto una scelta di mobilità, questa va manutenuta, innovata, rafforzata, attraverso investimenti che ricadono sulla collettività; ovvero, è necessaria una “conferma” culturale e sociale – oltre che, ovviamente, trasportistica – per “autorizzare” la politica a scegliere il tipo di investimento da fare per migliorare la qualità del trasporto pubblico nella città. In altri termini, la comunicazione e la condivisione di scelte che condizionano la vita quotidiana dei cittadini.
La tesi di Tommaso è la necessità che argomenti di questa natura – casa e mobilità – siano oggetto di politiche pubbliche e, sintetizzando, che queste debbano andare verso una “collettivizzazione” (se vogliamo essere più attuali, verso modalità “sharing”) tendenzialmente di utilizzo dei beni mobili e immobili, in alternativa alla proprietà privata. Tutto questo, ovviamente, non per limitare la libertà dei singoli, ma per rispondere ai disagi che la collettività subisce a causa – anche qui, sintetizzo – da una parte della crescita delle città e, dall’altra, dalla mancanza di politiche pubbliche efficaci e convincenti di retroazione rapida alle criticità. Una lettura superficiale potrebbe addirittura far pensare ad una nostalgia di modelli precedenti alla caduta del muro di Berlino, nelle repubbliche del socialismo reale. Invece, a mio avviso, è tutt’altro. Sia per la casa che per l’automobile sono forti e vivi ancora i modelli culturali che noi, “giovani” degli anni ’60 del secolo scorso, abbiamo appreso dai nostri genitori. L’Italia del dopoguerra vedeva nella proprietà della casa e dell’automobile un segno di rinascita, di affermazione sociale, di stabilità familiare e sociale. Ed è un modello pervasivo, di cui non si può disconoscere la grande forza che ha consentito di ricostruire un Paese fisicamente e moralmente distrutto. Eventi che non ho vissuto personalmente, ma che erano ancora presenti nei ricordi dei miei genitori e nei miei zii, la cui memoria ha contribuito a spingere verso il benessere, rappresentato anche – forse soprattutto - dalla proprietà della casa e di beni durevoli. Per quanto riguarda la casa, sono anche io convinto che sia necessario promuovere un modello di disponibilità basato sulla concentrazione in proprietari professionali e, parimenti, adottare una politica di sostegno e ampliamento della locazione. Ma occorre fare i conti con una politica che, a partire dal Piano Casa Fanfani - ormai citato da molti, anche a sproposito - ancora ripropone modelli di Piani casa più o meno destinati a favorire la proprietà, piuttosto che rendere flessibile e abbordabile un canone di locazione che dovrebbe essere contenuto in una percentuale compatibile con gli stipendi di oggi, considerando anche le diverse dinamiche del mercato immobiliare che distinguono le città metropolitane dalle altre città italiane. Ricordo che il famoso sciopero della casa del 1969 rivendicava una riduzione della percentuale del canone di locazione sugli stipendi più bassa del 18%. Oggi, in alcune situazioni, il costo dell’abitare supera ampiamente il 50% dello stipendio medio! D’altra parte, uno degli obiettivi del Piano Fanfani oltre a favorire la proprietà della prima casa con mutui ultratrentennali, era anche quello di orientare il risparmio della famiglia verso il “mattone” per preparare l’abitazione per i figli e, nel frattempo, stimolare una sorta di solidarietà tra famiglie, ponendo questa abitazione da investimento, in attesa del matrimonio dei figli, in locazione con un rendimento non eccessivo a fitto “bloccato” con provvedimenti risalenti anche a prima della seconda guerra mondiale. Tutto quello che è successo, dalla fine degli anni ’70 – superamento del blocco dei fitti, equo canone, patti in deroga, legge 431/98 – e la dinamica del mercato immobiliare ha progressivamente smontato questa visione, senza che se ne sostituisse un’altra ma, semplicemente, con il disimpegno dello Stato dalla casa pubblica, a partire dalla fine degli anni duemila.
Riprendendo il discorso sulla mobilità, come accennavo, la motorizzazione individuale della famiglia italiana è stato un elemento di rilevante importanza, spesso anche richiamato in molti film – cioè, nell’immaginario collettivo - dagli anni ’50 in poi. La libertà di muoversi, di viaggiare, di andare in vacanza e di circolare in città, di competere con il modello di automobile più bella o più costosa come attestazione della riuscita nella società, sono fattori che ricordiamo tutti. Fino ad arrivare alla situazione di oggi, del tutto prevedibile; casualmente ho ritrovato nella mia libreria una rivista di urbanistica del 1968 che in un numero monografico trattava l’inquinamento e la congestione delle città dovute al traffico e forniva alcune ipotesi di politiche pubbliche di trasporto per risolvere le criticità, tra le quali il car sharing (inventato nei primi anni del Novecento) e di car pooling (nato nel secondo dopoguerra). Ma anche qui, rispetto ad un modello culturale vincente, la politica non è riuscita a modificare, con una serie di decisioni razionali ed efficaci – ad esempio, avere l’obiettivo di contenere massimo di 30 minuti il tempo necessario per andare dall’estrema periferia al centro città con mezzi pubblici, oppure adottare delocalizzazioni che non rendessero necessario il viaggio – un modello di mobilità individuale che diventa, ovviamente, collettivo semplicemente perché non ha alternative. Se è vero che di recente sono stati implementati, per iniziativa privata o semipubblica, sistemi di mobilità sharing (a proposito, non vi fa riflettere il recente divieto di Parigi per i monopattini?) e anche vero che il sistema strutturale e accessibile a tutti del trasporto pubblico locale, principalmente su rotaia e su gomma, non è concretamente disponibile e non è un’alternativa valida in molti quartieri romani. Nel frattempo, vince la politica – condivisa o contestata – della tariffazione degli accessi ai luoghi più congestionati, come i centri storici, cioè la segregazione di parti della città a chi non si può permettere di pagare l’accesso. Inutile dire che anche per i rifiuti sarebbe necessaria una combinazione, supportata da politiche complesse, coordinate e organiche di riduzione alla fonte, di facilitazione della differenziata ed effettivo riuso delle materie recuperate, di disponibilità di infrastrutture ecologiche, di sistemi di raccolta di qualità uguale per tutte le aree della città (Roma, in particolare, ma non solo) per rendere premiante e premiato un comportamento individuale – anche in questo caso che diventa collettivo – che sostituisca progressivamente quello dell’usa e getta, della mancanza di coscienza nel ritenere che il rifiuto abbandonato in strada scompaia nel nulla, invece di rimanere per decenni nel suolo e nell’acqua.
Come forse avrete capito, per andare oltre la provocazione sarebbe necessaria una vera svolta culturale, da una parte con il convincimento individuale che forma quello collettivo e dall’altra con risposte concrete, praticabili, convincenti a supporto di questo cambiamento culturale, da parte di chi governa a livello centrale, regionale e locale. Ma chi governa oggi dovrebbe essere il primo ad abbandonare i modelli che ho descritto, proporre delle soluzioni alternative a questi modelli, avere una visione e farsi carico di investire in finanziamento e in reputazione ed esempio. Forse ci potrà riuscire una generazione di post millennians, se avranno ancora la possibilità di immaginare una società nuova, in contrasto a quella cupa, piena di incertezze, che una nuova guerra fredda – o una pace “calda” – ci potrebbe attendere nel prossimo decennio.
____________________
Foto di Gabriella Clare Marino su Unsplash