L'editoriale del Presidente di AUDIS Tommaso Dal Bosco
Carsicamente ritorna a galla nel dibattito tra addetti ai lavori il tema del patrimonio immobiliare pubblico e la frasetta più gettonata nei titoli dei convegni è: patrimonio leva per lo sviluppo.
Poi, dentro questo discorso –e sempre tra gli addetti ai lavori– c’è chi pensa automaticamente alle caserme o alle aree ex industriali dismesse, chi pensa all’edilizia residenziale pubblica, chi pensa al patrimonio culturale e, ognuno, di destra o di sinistra, ha la sua ricetta da commissario tecnico della nazionale (brutto momento per proporre questa metafora…) chi per censirlo, chi per valorizzarlo, chi per venderlo e pagarci i debiti….
Ormai sono 15 anni che se ne parla con pochissimo costrutto. Ecco alcune considerazioni molto schematiche che vi voglio proporre sul tema.
1. Basta con le ipocrisie. Il patrimonio immobiliare pubblico di per sé non è una opportunità (al netto di quello culturale), ma una rogna che costringe gli enti ad esercitare una funzione di gestione e manutenzione complessa e costosa.
2. Negli anni ci siamo illusi che potesse aiutare a ridurre il debito. Trenta milioni di mq di uffici con un basso indice di occupazione per dipendente della PA ci facevano sperare (circa 10 anni fa) che se ne avessimo risparmiato 1/3 avremmo ricavato circa 3 mld di euro trattandosi nella stragrande maggioranza dei casi di immobili nei centri di città capoluogo. Ma non è successo.
3. Sono le idee e le strategie di sviluppo il vero asset. Idee e strategie di sviluppo finalizzate a risolvere i 4 problemi principali dei sindaci: la casa, il lavoro, la scuola e la salute.
4. Non c’è patrimonio comunale o statale che possa dirsi pronto a risolvere questi problemi né per condizioni strutturali né per localizzazione.
5. Per una vera qualità urbana, decisiva è la distribuzione territoriale dei servizi per l’abitare, per il lavoro, l’istruzione e la sanità: città decentrate che non obblighino al pendolarismo per attività ordinarie e sistematiche. Il contrario di quanto abbiamo fatto finora con i centri direzionali e la città specializzata. Schema che ha retto gli investimenti di quella impropriamente chiamata rigenerazione urbana “di successo” che invece ha fatto schizzare i valori immobiliari in alto al centro in rapporto a valori decrescenti verso le periferie via via più brutte e meno servite creando la città più “ingiusta” che si possa immaginare.
6. La necessità di una corretta distribuzione ideale dei servizi deve quindi fare i conti con la dislocazione attuale del patrimonio che si pretenderebbe funzionale a tali servizi. Se forzata, questa relazione, finirebbe per aumentare l’entropia urbana e costringere l’amministrazione a inseguire con i servizi i flussi che si vengono a creare.
7. Per affrontare questi problemi è necessario un salto di qualità in tema di investimenti pubblici: smetterla di studiare la governance dei fondi pubblici per cercare di “intercettarli” e partire, invece, dai bisogni.
8. Bisogna passare da spesa pubblica a strategia di finanziamento. Puntare sull’uso di finanza privata strutturata. Evitare il tradizionale schema di partnership con lo sviluppatore immobiliare o il costruttore per uscire dallo schema basato sul “dono” cioè la cessione da parte del privato di una quota del suo margine da investire in opere pubbliche ed entrare nella logica del “servizio” basata sui flussi di cassa generati dalle attività insediate nelle aree rigenerate per remunerare investimenti finanziati da investitori puri.
9. Per calcolare e prevedere questi flussi in modo da sviluppare equilibrati e sostenibili piani di investimento è urgente applicare tutte le conoscenze in tema di analisi dei big data e, quindi, l’applicazione dell’intelligenza artificiale e dei digital twins, tema sviluppato con ammirevole lungimiranza dal CNR che si appresta a presentare il proprio centro interdipartimentale denominato proprio “urban intelligence”.
10. Approfittare del trend verso la finanza di impatto, quella vera che ha bisogno di una metrica nuova per tagliare fuori il greenwashing.
11. Le strategie industriali private possono essere rigenerative o degenerative a seconda della capacità del sistema pubblico di orientarle alla produzione di valore collettivo indirizzandole a localizzazioni corrette. Come nel caso da noi analizzato della logistica o del decentramento del lavoro quaternario. Strategie che le imprese attueranno comunque e che è conveniente indirizzare a fini rigenerativi piuttosto che speculare sugli oneri.
12. Un soggetto che potrebbe svolgere un ruolo importante in questo “cambio di passo” è Invimit ora al secondo cruciale passaggio con il cambio di governance che avverrà a breve e su cui mi auguro che i comuni dicano la loro, vista la sostanziale elusione da parte di questa sgr pubblica dei vincoli che la legge istitutiva le pone. I capitali pubblici devono essere serventi a questo modello e Invimit è il soggetto che potrebbe assicurare l’interesse pubblico nelle strategie di allocazione secondo i bisogni e non secondo le capacità di “intercettarli”.
13. Ci sono molte riforme che andrebbero adottate come corollario. Quella che vedo più importante è quella della contabilità pubblica per consentire ai comuni di capitalizzare gli “impatti” degli investimenti sostenibili. È infatti inutile sapere che un investimento di 100 in realtà rende alla collettività 150 se poi nel bilancio dell’ente che lo ha fatto resta il segno “meno”. Gli investimenti per una mobilità sostenibile hanno impatti ecosistemici di cui si giova la collettività ma anche i singoli bilanci di diversi attori pubblici e privati a cominciare dalla sanità e dalle assicurazioni. Questi risparmi dovrebbero essere contabilizzati e, quei soggetti anche se apparentemente non competenti, dovrebbero contribuire agli investimenti.
14. AUDIS ha scelto di giocare la sua partita su questo. Il tavolo di lavoro creato all’interno del progetto OICR e investimenti urbani comprendente IFEL, FS, Demanio, fondi pensione, Cdp e CNR, grazie anche alla sua relativa informalità -di ricerca e azione- si sta rivelando e può diventare la più efficace "piattaforma" nazionale per la rigenerazione urbana in senso stretto ovvero per il riequilibrio territoriale centro - periferie e Nord - Sud contro le disuguaglianze.
Non patrimonio, ma idee per la rigenerazione urbana.
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