L'editoriale del Presidente di AUDIS Tommaso Dal Bosco
Di fronte alle recenti dichiarazioni di Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, e di Federica Brancaccio, presidente dell'Associazione Nazionale Costruttori, emerge un quadro di richieste assistenzialistiche mascherate da appelli allo sviluppo economico. Tavares, con l’aria di chi avanza soluzioni "visionarie", suggerisce sostanzialmente che lo Stato debba sussidiare l’acquisto di automobili degli italiani; Brancaccio, dal canto suo, auspica l’introduzione di nuove politiche incentivanti simili al superbonus per finanziare ristrutturazioni edilizie, con lo Stato a caricarsi di nuovo degli oneri. A ben vedere, si tratta di istanze che puntano a sostenere il mercato, senza però affrontare le cause strutturali che rendono il Paese fragile.
Questa dinamica risulta paradossale, se pensiamo che parliamo di leader impegnatissimi a rivendicare il ruolo dell’impresa privata e la necessità di ridurre l’ingerenza statale. È abbastanza singolare quindi ritrovarli reiteratamente a chiedere interventi pubblici. Ma come si concilia tutto questo con il modello del "meno Stato e più mercato" tanto caro a certi paladini del capitalismo anglosassone? Siamo di fronte a una contraddizione in termini: gli stessi che invocano una riduzione dell'intervento pubblico corrono ora a chiedere sussidi e aiuti statali, pronti a trasformare lo Stato in un bancomat quando si tratta di sostenere i propri settori.
D’altronde, a proposito di responsabilità sociale delle imprese, anche il rapporto dell’ufficio studi di Mediobanca pubblicato poco più un mese fa (consultabile qui) ci racconta di un sistema economico domestico caratterizzato da alti profitti delle imprese (nonostante la congiuntura sfavorevole), a fronte di salari bassissimi e investimenti addirittura negativi. Con la “perla” sottolineata in un articolo di commento a firma di Dario Di Vico che ci rivela che le (cattivissime) multinazionali assicurano ai loro dipendenti salari medi considerevolmente più alti delle aziende a controllo italiano. Naturalmente, non si tratta qui di santificare le une e condannare gli altri. Si tratta però di registrare e stigmatizzare l’attitudine prettamente sindacale alla quale spesso i corpi intermedi indulgono, a dispetto dell’interesse generale del Paese.
Eppure, il Paese avrebbe bisogno di ben altro, di un piano strategico per infrastrutture sociali e ambientali, di una vera strategia per l’impiego di capitali privati per scuole, ospedali, reti idriche e fognature, invece di invocare bonus e incentivi a pioggia.
Le aree del Sud, per esempio, da questo punto di vista presentano carenze da terzo mondo che ne limitano lo sviluppo e la qualità della vita determinandone letteralmente la desertificazione.
Questo è un terreno che meriterebbe investimenti veri, non "pannicelli caldi" per stimolare temporaneamente il mercato con tutte le distorsioni che portano con sé (penuria di imprese e materiali, truffe, interventi fatti in fretta per stare nei tempi, inflazione). Un modello di crescita che continua a concentrare risorse e investimenti dove già abbondano, lasciando il resto del Paese a risolvere da solo questioni ben più urgenti.
Tuttavia sappiamo che, al netto dei problemi connessi con il debito pubblico italiano, i soldi del bilancio dello Stato non basteranno mai per far rimontare il deficit infrastrutturale e una autentica modernizzazione di questo Paese, a cominciare dalla trasformazione delle città. E, comunque, il suo impiego è pieno di profili problematici connessi ai vincoli di destinazione che sempre impone e che finiscono per sottrargli la flessibilità necessaria a renderlo competitivo ed efficace.
Come abbiamo spesso sostenuto da queste pagine, il capitale pubblico dovrebbe essere impiegato come leva, per assicurare le soglie di sostenibilità nelle aree a fallimento di mercato e moltiplicare gli investimenti privati anziché sorreggere specifici settori con iniezioni temporanee.
AUDIS ormai da anni lavora a questo. Il modello elaborato, fa leva sull’evoluzione ESG dei mercati dei capitali, sul risparmio privato, sui flussi di cassa generati dalle funzioni e dai servizi erogati in regime privatistico, su canoni di disponibilità per le funzioni pubbliche e, infine, sulle proprietà peculiari degli OICR come strumenti operativi neutri.
Se vogliamo davvero far ripartire il Paese, non possiamo limitarci a rincorrere bonus e sussidi a settori specifici. Serve un cambio di mentalità: impiegare risorse pubbliche come leva per attrarre investimenti privati e affrontare le vere priorità infrastrutturali, con la stessa visione che progetti come quello di AUDIS propongono. È una trasformazione ambiziosa, ma necessaria, se vogliamo costruire una base solida per il futuro invece di continuare a rattoppare il presente.
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Foto di Michael Satterfield su Unsplash