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Ennesimo disegno legge, solito stanco dibattito: la rigenerazione è un'altra cosa

Ennesimo disegno legge, solito stanco dibattito: la rigenerazione è un'altra cosa

L'editoriale del Presidente di AUDIS Tommaso Dal Bosco
Con la conferenza stampa promossa il 22 giugno dal senatore Gasparri e la partecipazione della presidente dell’Ance Brancaccio, dell’ex presidente Buia oltre a rappresentanze di Cnappc e Oice, per presentare un nuovo disegno di legge di iniziativa parlamentare sulla rigenerazione urbana fa ripartire, come ciclicamente avviene, un dibattito che più volte abbiamo definito ormai stucchevole.
Per la verità, nel saluto introduttivo dell’onorevole Ronzulli, qualche elemento interessante di novità lo abbiamo intravisto e staremo a vedere se nel ddl troverà una sua declinazione pratica.
Tuttavia, gli appassionati della materia, tra cui ritengo di poter annoverare la totalità di coloro che hanno la bontà di seguire la nostra newsletter, sono legittimati ad esprimere un qualche scetticismo. È possibile, infatti, che ricordino tutti il famigerato AS 1131 a firma dell’allora senatore Ferrazzi, unificato poi con altri 6 disegni di legge della più svariata provenienza sia politica che tematica che arrivarono alla assegnazione in commissione nella precedente legislatura.
Con Audis organizzammo approfonditi confronti prima interni e poi pubblici con il Senatore Ferrazzi e poi con uno dei relatori del provvedimento, il senatore Mirabelli.
Infine, grazie all’iniziativa di Rosario Manzo, realizzammo un approfondito lavoro di proposta sul quale anche abbiamo dibattuto e il cui contenuto sul piano metodologico poteva anche essere considerato “provocatorio” dato che sostanzialmente si configurava come un semplice aggiornamento della legge 457/78 che abbiamo anche messo in consultazione ottenendo giudizi e commenti incoraggianti. Per dimostrare che, per quegli obiettivi (tutti ragionevoli), non serve una legge sulla rigenerazione ma basta aggiornare le norme sull’edilizia residenziale esistenti. 

Per questo, quello che abbiamo sentito dire dal senatore Gasparri e dai suoi ospiti suona alle nostre orecchie come una stanca replica di cose che abbiamo già sentito molte, troppe volte.
La rigenerazione urbana (ma non solo quella urbana, diciamo quella dell’intero Paese) merita un dibattito molto più alto di quello legato alle solite misure di semplificazione per accelerare la valorizzazione immobiliare di qualche area privata o la conversione di caserme in housing sociale o studentati, puntualmente evocata a seconda degli eventi che fanno salire il grado di emergenza nella percezione mediatica provocando la reazione delle agenzie pubbliche interessate per guadagnare visibilità o compiacere la politica.
A puro titolo esemplificativo ricordiamo il Piano città del 2012 nato per ridare fiato alle imprese di costruzione nella stagione della più acuta crisi economica, oppure il piano periferie del 2015 considerate il brodo di coltura della Jihad in occidente nato sull’onda emotiva della strage del Bataclan e, infine, le misure di incentivazione per gli studentati nate dalle proteste dei ragazzi in tenda fuori dalle università italiane.
La rigenerazione urbana non è questo. 

Considerata dalle prospettive opposte dei suoi due estremi ideologici, la rigenerazione urbana da un lato non è la sostituzione edilizia ma, dall’altro, non è nemmeno il citizen engagement per il recupero di qualche vuoto urbano.
Queste pratiche, entrambe molto importanti, sono strumenti per fare rigenerazione ma il loro esercizio deve essere inquadrato in modo sistematico all’interno di piani di area vasta che consentano di regolare fenomeni come la gestione delle risorse idriche, la sicurezza del territorio, la mobilità delle persone e delle merci e il soddisfacimento dei diritti fondamentali alla casa, alla sanità, all’istruzione e al lavoro, in un quadro generale di sostenibilità.
Tutto questo diventa particolarmente importante in un momento in cui dobbiamo guardare alle conurbazioni che definiscono le nuove regioni urbane o le città di fatto. Tutto ciò che determina fenomeni che esorbitano i confini amministrativi di chi è chiamato a regolarli ed è incompatibile con i criteri distributivi della spesa pubblica per investimenti, sempre più inefficaci su questo piano come denuncia la stessa agenda urbana che il governo Draghi, tramite il ministro Giovannini, ha lasciato in eredità a quello attualmente in carica che dà implicitamente ragione agli sforzi progettuali di AUDIS e indica la strada.
Una strada che noi conosciamo bene per essere stati i primi a tracciarla con il nostro progetto OICR e investimenti urbani.
C’è bisogno di una nuova governance più flessibile che valorizzi i sindaci e gli amministratori locali nella loro funzione generativa e non costringendoli a procedure stupide per competere tra loro e aggiudicarsi risorse per lavori e opere che rischiano di confliggere con una corretta e razionale organizzazione del territorio aumentando la sua entropia.
C’è bisogno di capitali privati orientati alla sostenibilità da impiegare non (solo) perché le risorse pubbliche sono insufficienti, ma perché anche il risparmio dei cittadini va tutelato e non si può permettere che continui a difendersi comprando case in un mercato che ha dimostrato la sua volatilità oltre ad alimentare una frammentazione proprietaria deleteria per l’ambiente e l’equità sociale.
C’è bisogno di strumenti operativi pensati per arginare la speculazione e assicurare gli obiettivi di sostenibilità cui il risparmio gestito è ormai ineluttabilmente orientato a livello globale.
Cambio di paradigma lo abbiamo più volte chiamato anche nei nostri documenti di ricerca/azione.
Non è ancora maturo come soluzione operativa, ma è a questo che dobbiamo guardare ed è questo il livello a cui dobbiamo elevare il dibattito sulla rigenerazione urbana. 

Il resto serve, è importante, lo sosteniamo anche noi come abbiamo fatto e facciamo.
Ma per piacere, non chiamatela rigenerazione.

 

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Foto di mike nguyen su Unsplash


27/06/2023
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