di Roberto Nastri
Combinando advisory board ed opex, la ricerca-azione è giunta assai vicino a promuovere la creazione dei primi ambiti di sostenibilità tramite un OICR ESG che prevede una massa finanziaria gestita intorno ai 100 milioni di euro, senza debito diretto o indiretto a carico dello Stato.
Il percorso in atto presenta, tuttavia, un ostacolo: le trasformazioni delle aree pubbliche da apportare allo OICR ESG, per uno scopo eminentemente pubblico, sono sottoposte a procedure “autoritative” che hanno, sulla carta, una durata variabile dai 3 agli 8 anni.
Durata del tutto incompatibile con le strategie dei privati presenti nello advisory board quali, in assenza di risposte adeguate, perseguiranno comunque le loro strategie, ma in luoghi affatto diversi da quelli da noi indicati, funzionali alla realizzazione del nuovo sistema territoriale multipolare.
In altri temini, per quanti sforzi possiamo compiere nella direzione di una governance pubblica delle trasformazioni territoriali, allo stato attuale della strumentazione urbanistica, con qualche eccezione di cui diremo più avanti, ogni tentativo può risultare vano, dal momento che viene meno la seconda delle seguenti due condizioni tra loro strettamente correlate:
• la possibilità, di cui si è ampiamente detto, di concentrare in un unico “paniere” tutti gli asset pubblici necessari, tanto di proprietà di FS che dei Comuni interessati;
• la possibilità di ottenere ovunque e rapidamente i permessi di costruire necessari a prescindere dalla strumentazione urbanistica vigente in considerazione della pubblica utilità degli interventi nel loro complesso e dell’assenza d’intenti speculativi.
Quanto alle eccezioni, segnaliamo un’opportunità contenuta nelle “Disposizioni per la valorizzazione immobiliare” di cui al DL 98/2011, convertito con modificazioni dalla Legge 111/2011, quasi mai applicato: la possibilità di ricorrere ad un unico procedimento urbanistico semplificato nella regolarizzazione edilizia e urbanistica degli immobili conferiti ad un FIA “mediante accordi di programma (nonché sulla base della corrispondente legislazione regionale) da concludersi entro il termine perentorio di 180 giorni dalla data della delibera che promuove la costituzione dei fondi.
Poiché, tuttavia, non riponiamo grandi speranze nel rispetto dei tempi, ancorché “inderogabili”, degli accordi di programma, ultimamente ci stiamo orientando verso il permesso di costruire in deroga ex DPR 380/2001 che può essere rilasciato in pochi mesi a fronte di opere di pubblica utilità.
La scelta dello strumento sta cambiando non di poco la natura e le prospettive del nostro lavoro: mentre prima ci stavamo orientando verso il riutilizzo di zone libere già urbanizzate (soprattutto aree ferroviarie dismesse e parcheggi a raso), ma non di per sé già “edificabili”, adesso dobbiamo privilegiare il riuso di fabbricati esistenti, posto che l’art.14, comma 1 bis del DPR 380/2001 recita:
“Per gli interventi di ristrutturazione edilizia, attuati anche in aree industriali dismesse, è ammessa la richiesta di permesso di costruire anche in deroga alle destinazioni d'uso, previa deliberazione del Consiglio comunale che ne attesta l'interesse pubblico, a condizione che il mutamento di destinazione d'uso non comporti un aumento della superficie coperta prima dell'intervento di ristrutturazione, fermo restando, nel caso di insediamenti commerciali, quanto disposto dall'articolo 31, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e successive modificazioni".
La necessità di concentrarci esclusivamente su edifici esistenti ha limitato molto le possibilità d’intervento nella città–regione di Milano e ha reso necessario, per raggiungere una massa finanziaria gestita sufficientemente grande, guardare anche alle altre città metropolitane con il vantaggio che la ricerca-azione ha acquisito una dimensione nazionale molto prima del previsto, ma a scapito dell’efficacia nella città-regione di Milano.
Per concludere –qui sta il paradosso- possiamo osservare che sono proprio quegli strumenti urbanistici che dovrebbero assicurare la governance del territorio che la impediscono, per il fatto che non consentono alle strategie pubbliche di procedere di pari passo con le strategie private che possono favorirle, mediante la concentrazione dei flussi di cassa nei nuovi “luoghi centrali”, come mostrano le figure che qui riproponiamo dal precedente articolo
Dove la figura 1 rappresenta la direzione territoriale dei flussi di cassa nel caso in cui strategie pubbliche e private sono disallineate nei tempi anche se convergenti negli scopi, e la figura 2 se tali strategie sono allineate nei tempi oltre che convergenti negli scopi e partecipano entrambe alla realizzazione del sistema territoriale policentrico previsto dai piani urbanistici di area vasta.
Quindi se non si metterà mano rapidamente alle attuali leggi urbanistiche, l’attuazione del PTR Lombardo e del PUMS metropolitano -da cui dipende, tra l’altro, l’abbattimento di buona parte delle emissioni- avverrà con difficoltà e solo mediante un enorme sforzo finanziario pubblico, non prevedibile allo stato attuale dei conti pubblici nazionali.
Mario Draghi, nella sua recente prolusione pronunciata in Spagna, in occasione della consegna del premio europeo “Carlo V”, sostiene che «il fabbisogno di finanziamenti per la transizione verde e digitale -di cui fanno parte anche quelli per la trasformazione dell’attuale assetto del territorio- è enorme e, dato lo spazio fiscale limitato in Europa sia a livello nazionale che, almeno finora, a livello europeo, dovrà essere fornito principalmente dal settore privato. Pertanto, dovremo anche mobilitare risparmio privato su una scala senza precedenti, ben al di là di quanto può fornire il settore bancario. Il modo principale per raccogliere i fondi necessari sarà l’approfondimento dei mercati dei capitali di rischio, delle azioni e delle obbligazioni»