I tragici avvenimenti di questi ultimi tempi sono l’ulteriore conferma, qualora ce ne fosse bisogno, che i disastri climatici non sono più fenomeni sporadici e imprevedibili, quanto piuttosto eventi sempre più frequenti e sempre più devastanti. Per questo motivo, oltre ad imparare a fronteggiare sempre meglio le emergenze, occorre diventare più preparati nel campo della pianificazione del territorio, imparando a coinvolgere e mettere a sistema tutte le figure e tutte le risorse impegnate nei vari ambiti. Un progetto che va proprio in questa direzione lo ha messo a punto il Consiglio Nazionale degli Architetti, che col suo Dipartimento “Prevenzione e gestione eventi calamitosi e ambientali” ha riunito un Comitato Scientifico composto da 6 esperti che avranno il compito di fornire un contributo progettuale e procedurale alle iniziative del Dipartimento.
Prendiamo spunto dalla nascita di questo nuovo soggetto per una chiacchierata con il coordinatore del Dipartimento, nonché consigliere in Italia e in Europa dell’Ordine degli Architetti, Diego Zoppi.
Architetto, su che basi nasce il Dipartimento che lei coordina?
«Otto anni fa il CNAPPC ha consolidato un Dipartimento di attività emergenziali per fronteggiare l’emergenza sismica, all’indomani del terremoto di Amatrice. Obiettivo era formare i nostri colleghi sia nella fase dei soccorsi che, soprattutto, in quella della ricostruzione. Nel tempo ci siamo accorti che i disastri non sono soltanto quelli dei terremoti e sempre di più sono legati al cambiamento climatico. Le tre alluvioni in Emilia Romagna in un anno e le immagini apocalittiche di Valencia dei giorni scorsi sono sotto gli occhi di tutti. È importante che, sia nella fase dell’emergenza, che in quella successiva della ripartenza, la nostra categoria sia adeguatamente formata, non solo nella diagnosi di un edificio degradato. Se vogliamo evitare continui drammi bisogna intervenire prima, ad esempio a livello di piani di emergenza delle pubbliche amministrazioni, che non sempre purtroppo sono aggiornati e adeguati allo scopo. E ancora prima occorre pensare a come ridurre gli impatti devastanti di questi eventi. Sono tematiche che certamente sfociano nel nostro agire di architetti, ma partono da altri ambiti e da altre competenze».
Un altro modo di pianificare il territorio è possibile?
«La normativa italiana è ferma al Novecento, si ragiona in termini di costruzioni e urbanizzazioni, oggi questo approccio non è più sufficiente. Nei paesi più evoluti si parte ormai dalla gestione del territorio naturale e in conseguenza si pianificano le parti urbanizzate. Se le prime si deteriorano, le seconde subiranno le conseguenze. E non basta più ragionare in termini "ingegneristici", cioè per fronteggiare un’alluvione non basta limitarsi a prevedere bacini di laminazione. Così facendo otterremo solo di continuare a indebolire il paesaggio. Imparando invece su infrastrutture in grado di partecipare all’equilibrio generale, allora forse riusciremo a mitigare il loro impatto e renderle anche economicamente gestibili. Faccio sempre l’esempio dell’Olanda, Paese nato sott’acqua, con un sistema di dighe che è parte integrante della città. La loro filosofia è detta Sponge City, la città è vista come una spugna in grado di respingere l’acqua ma anche di assorbirla, immagazzinarla e poi riutilizzarla. L’Italia come si sa ha il problema delle alluvioni, ma anche quello della siccità».
L’Olanda nasce già con il problema dell’acqua alta, qui da noi è una tematica relativamente nuova.
«Certamente, siamo all’anno zero o quasi. Però è indispensabile guardare alle esperienze che si fanno all’estero. In molti paesi del nord, ci sono grandi vasche sotterranee per raccogliere l’acqua piovana da riutilizzare in estate. A Barcellona, nei centri commerciali, invece di fare parcheggi interrati fanno degli enormi depositi nascosti che servono per raccogliere l’acqua piovana. Così da una parte si disincetiva l’uso dell’automobile, dall’altra si gestisce una risorsa preziosa. Dobbiamo cambiare prospettiva, anche da un punto di vista economico. Tornando all’Olanda, lì, ogni muro costruito negli ultimi 200 anni per arginare le emergenze è finanziato con risorse private. Il principio è “paga chi usa”. Poi certo è necessaria la regia pubblica, ma noi italiani dobbiamo imparare a invertire il principio. Dovremo imparare a introdurre gestioni innovative tra soggetti pubblici e privati e soprattutto i soggetti pubblici dovranno aggregarsi su queste tematiche in un’ottica di area vasta. Non è facile, non è rapido, non è gratis, ma è necessario. L’alternativa è continuare a piangere e contare i danni».
Com’è formato il Comitato Scientifico?
«Sei figure non direttamente coinvolte con l’architettura, ma complementari al nostro settore in ambiti sempre più centrali, anche pensando alle skill necessarie ormai alla nostra professione. C’è il presidente di Audis Tommaso Dal Bosco, coinvolto anche in quanto esperto di bacini idroelettrici in territori montani, Ezio Micelli, esperto di impatti economici sulla pianificazione delle città, Giovanni Vetritto, direttore del Dipartimento Affari Regionali e Autonomie alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gianluigi Rossi, naturalista, Marco Bussone, per la sua esperienza in tema di Comunità Montane, Marco Zavattarelli, uno dei massimi esperti mondiali in tema di riscaldamento climatico e innalzamento del livello del mare. Mi preme sottolineare che il nostro atteggiamento non è mai ideologico, non siamo né catastrofisti né negazionisti, siamo tecnici abituati ad affrontare i problemi su base razionale».
Come opererà il Comitato?
«In seno al Dipartimento operano vari gruppi di lavoro che chiederanno a questi saggi di essere indirizzati e orientati verso soluzioni contemporanee e coerenti con gli obiettivi prefissati. Ovviamente è per noi prioritario il coinvolgimento del Ministero delle Infrastrutture, che è quello che concretamente agisce a livello normativo, ma anche il Ministero dell’Ambiente e della Protezione Civile. L’obiettivo è quello di fornire linee guide puntuali a chi governa, affinché si traducano in regole, in forme di finanziamento, in atti concreti. Tra due anni il nostro mandato di consiglieri all’Ordine degli Architetti va in scadenza, l’idea è quella di produrre un atto da indirizzare a governo e opinione pubblica tra un anno, così da avere un altro anno di tempo per seguire il follow up»