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Non esiste welfare senza casa. Intervista al ricercatore sociale Andrea Failli

Non esiste welfare senza casa. Intervista al ricercatore sociale Andrea Failli

Tra le poche regioni in grado di fornire foto realistiche della condizione abitativa del proprio territorio c’è la Toscana, grazie al lavoro dell’Osservatorio Sociale che indaga le varie questioni legate al welfare e che da 13 anni produce un rapporto annuale dedicato alle tematiche della casa. Ne abbiamo parlato con Andrea Failli, collaboratore di Federsanità ANCI Toscana, che in qualità di ricercatore sociale si occupa per conto dell’Osservatorio principalmente di temi connessi a interventi di politica abitativa, non autosufficienza, terzo settore. 

Andrea, qual è la realtà fotografata dal rapporto?
«Il rapporto parte tracciando uno scenario demografico, da cui emerge ad esempio il trend di costante invecchiamento della popolazione toscana e le differenti traiettorie tra aree interne che vanno sempre più spopolandosi e contesti urbani che invece al contrario continuano ad attrarre persone, con le criticità che ciò comporta. Seguendo l’andamento del mercato immobiliare arriviamo ad una analisi dei costi per la casa, e qui si evidenzia l’aumento continuo degli affitti a cui invece corrisponde un calo nelle forme di supporto. Il fondo sociale nazionale per l’affitto già da due anni è stato svuotato e gli importi stanziati dalla Regione da soli non riescono a far fronte al fabbisogno potenziale di richieste. Ciò si traduce inevitabilmente in una maggiore pressione sui Comuni chiamati a dare risposte concrete a chi non può più permettersi una casa».

Particolarmente inquietanti anche i numeri legati agli sfratti.
«Sì, nonostante l’incremento smisurato sia dovuto anche alla sospensione degli sfratti durante il Covid, vediamo un bilancio che assomiglia sempre di più ad un bollettino di guerra. In parallelo aumentano le misure di contenimento del fenomeno, come il fondo per la morosità incolpevole, che risarcisce il proprietario dell’abitazione dei mancati introiti e spesso contribuisce a bloccare la procedura. Misure del genere non devono essere viste solo come dei costi, ma in qualche modo costituiscono attività di prevenzione perché poi quando una famiglia si ritrova sotto sfratto i costi per garantirle un tetto, ad esempio affittando una camera in hotel, diventano molto più alti. Partiamo dal presupposto che in uno Stato di welfare nessuno può essere lasciato per strada».

Parliamo di Edilizia residenziale pubblica.
«La Toscana è tra le regioni che può fare buon affidamento sul sistema delle case popolari, si conta una disponibilità di circa 5.800 edifici, che corrispondono a 50mila alloggi e danno una casa a circa 100mila persone. L’identikit di chi fa domanda per la casa popolare evidenzia sempre maggiori difficoltà, non soltanto di natura economica ma anche nella composizione del nucleo familiare, spesso si tratta di famiglie monogenitoriali, con figli disabili a carico. La graduatoria verte sempre più verso la marginalità, al contempo la cosiddetta fascia grigia sta progressivamente scomparendo, i redditi si deteriorano e le famiglie non possono più permettersi affitti di mercato».

L’Italia si è sempre fatta forte di quel 70% di popolazione che è proprietaria di una casa.
«Forse anche per questo non si è mai parlato in maniera strutturale di politiche abitative in relazione al welfare. L’obiettivo, fino a un certo punto, è sempre stato quello di far diventare tutti gli italiani proprietari di una casa. E si pensava che quel 30% di popolazione che non aveva una casa di proprietà, semplicemente non la voleva e preferiva vivere in affitto, come magari accade all’estero. Oggi il quadro è profondamente cambiato, intanto sempre più proprietari non riescono a far fronte ai costi del mutuo o alle necessarie manutenzioni, inoltre, come detto, sono in aumento i cittadini che non riescono a pagare l’affitto. Purtroppo la correlazione tra fasce povere e quelle costrette a vivere in affitto è evidente». 

Il tema dell’abitazione andrebbe trattato come un tema sociale, cosa che non accade.
«È impensabile  parlare di misure relative al reddito, ad esempio gli assegni di inclusione, se poi i percettori non hanno un tetto sulla testa». 

Perché gli osservatori come il vostro esistono ed operano in pochissime regioni? Siete voi che siete troppo bravi oppure manca la volontà politica…
«Difficile rispondere a questa domanda, diciamo che la Toscana può contare su un rapporto consolidato tra comuni e regione, grazie anche all’opera di raccordo svolta dall’Anci. Molto prezioso è anche il contributo dei distretti socio-sanitari, aggregazioni di comuni che riescono a fare rete e aggregare porzioni di territorio più ampie. Tutto concorre a rendere il quadro meno frammentato e più connesso. Siamo fortunati anche perché c’è un’abitudine ormai stratificata dei vari comuni di prendere sul serio la tematica e devo dire che il nostro lavoro trova anche grande attenzione da parte degli amministratori. Ricordiamo che l’obiettivo di questo lavoro è proprio quello di fornire gli strumenti per la programmazione delle politiche sociali».

I Comuni sono sotto pressione perché sono quelli che devono fornire risposte concrete ai cittadini.
«Certamente e dai comuni partono anche le sperimentazioni più interessanti, la ricerca di soluzioni innovative per risolvere situazioni sempre più critiche. Penso, per citarne uno, al progetto di Senior Housing attivato a Firenze, ai partenariati con il terzo settore. Una tendenza interessante è quella di progetti che mettono in rete più comuni, che cercano di unire le forze per dare risposte efficaci ai cittadini».


03/12/2024
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