L'editoriale del Presidente di AUDIS Tommaso Dal Bosco
Nel corso di un breve weekend a Parigi, di quelli che ci siamo abituati a considerare normali gite fuori porta grazie alla riduzione dei costi di trasporto, un po’ per deformazione professionale, un po’ per curiosità, con la mia famiglia ci siamo spesso soffermati a curiosare nelle vetrine delle agenzie immobiliari.
Certo i quartieri erano quelli centrali dove si visitano le cose importanti della città (Montmartre, Quartiere Latino, Marais, Beaubourg, Saint-Germaine-de Pres…. insomma, quelli dove tutti vorrebbero abitare) ed ero preparato a registrare prezzi piuttosto elevati.
Tuttavia, la media di quelli che ho visto mi ha davvero impressionato: 8, 10, 13 fino a 18 mila euro al metro quadro. Monolocali da 35 metri quadri a mezzo milione di euro, appartamenti di dimensioni adatte ad accogliere una famiglia di 4 persone per 800 mila euro, loft da 150 metri quadri per 2 milioni.
La questione è diventata oggetto di dibattito in famiglia e mio figlio maggiore –un ragazzo sveglio e impegnato di quasi 19 anni- a un certo punto, mentre incrociavamo passeggiando nel cuore del Quartiere Latino, mi dice: ma quante persone abiteranno qua? Quante persone potranno permettersi di spendere le cifre che abbiamo visto per una casa?
Difficile da spiegare con parole semplici a un ragazzo la complessità di un fenomeno che, a Parigi, è particolarmente vistoso, dato che si tratta della città europea con la media di valori immobiliari di gran lunga più alta d’Europa, ma che anche nelle nostre città, specie Roma e Milano, si osserva in modo pressoché analogo. Soprattutto grazie all’aumento impressionante di case sottratte al mercato delle vendite e degli affitti per essere messe sul mercato turistico (Airbnb) in gigantesca e costante crescita. Il tutto con effetti distorsivi anche sulla qualità dei tessuti urbani, sociali ed economici.
Case molto spesso acquistate negli anni in cui l’espansione economica e l’infedeltà fiscale hanno permesso ad alcune categorie l’accumulo di patrimoni notevoli, poi trasmessi per successione ereditaria e (di nuovo) senza pagare tasse.
La stagnazione dei salari e l’aumento dei valori dovuto a questi fenomeni speculativi, in mancanza di una politica capace di compensare questi squilibri, non fa altro che aumentare la parte di soggetti esclusi da questo mercato, spesso giovani costretti a muoversi per studiare (quindi ancora sulle spalle delle famiglie) o per cercare lavori precari e malpagati, che restano privi di opportunità abitative e costretti ad accettare condizioni gravemente penalizzanti di pendolarismo o coabitazioni costose e poco confortevoli.
Ho letto di soluzioni abbastanza fantasiose da parte della sindaca socialista di Parigi per cercare di ridurre questo fenomeno. Sforzi apprezzabili improntati a politiche di tipo redistributivo ma che hanno il difetto a mio avviso di far leva sullo stesso fulcro su cui appoggia la speculazione: la differenza tra la rendita e i costi di costruzione. Come è evidente, più la differenza è marcata, più c’è spazio per negoziare compensazioni nei confronti degli sviluppatori immobiliari, con l’effetto di legittimare pratiche discutibili sotto il profilo etico e della responsabilità sociale.
Anche il “nostro” social housing inventato meritoriamente dalla sensibilità sociale di Fondazione Cariplo e successivamente istituzionalizzato, ha dato luogo ad esperienze di un qualche interesse ma, al di fuori di quei contesti in cui i valori sono sufficientemente elevati da concedere quel margine che consente di produrre un po’ di case per la cosiddetta “zona grigia”, il problema della casa resta largamente insoluto e le schiere di famiglie colpite dalle nuove povertà aumentano continuamente.
Mi è capitato di parlare di questi temi anche in altre circostanze e in modo più approfondito ma, questa volta, l’esperienza del confronto con mio figlio che ha fatto da spunto per questo breve articolo mi ha portato ad una riflessione ben più radicale: se tutti noi che facciamo convegni e concioniamo di rigenerazione urbana non ci poniamo e cerchiamo di dare una risposta alle domande vere che sono connesse alla impossibilità di permettere a tutti di vivere in sicurezza, in un ambiente salubre a costi sostenibili, se non ci rendiamo conto che non possiamo più permetterci di avere una città per ricchi (sempre meno) e una per poveri (sempre di più), allora facciamo un ben effimero e forse inutile mestiere.
La funzione della rigenerazione urbana è quella di perseguire prima di tutto una città più giusta.
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Foto di Léonard Cotte su Unsplash