L'editoriale del Presidente di AUDIS Tommaso Dal Bosco
La riapertura autunnale dopo la pausa estiva è segnata per molte famiglie dai problemi connessi alla ripresa dei cicli scolastici. Una quota rilevante di queste è alle prese con il problema di un affitto per il proprio figlio che ha la necessità di andare all’università fuori sede. Ed è deprimente per me registrare che i meccanismi da 40 anni in qua (da quando all’università sono andato io) sono rimasti i medesimi, se addirittura non si sono aggravati.
Se, infatti, in questo arco di tempo sono aumenti sia gli atenei che le loro sedi distaccate per andare incontro alla necessità di una migliore copertura territoriale dell’istruzione universitaria, dall’altro i meccanismi di accesso spesso non garantiscono l’ammissione degli studenti alla sede per loro più comoda. L’esempio più eclatante è costituto dalle prove con graduatoria nazionale come quelle per accesso ai corsi di Medicina. Come si comprende diventa anche difficile programmare per le famiglie, dato che sono in pochi quegli studenti capaci di decidere il proprio futuro con molto anticipo, magari nel corso del quarto anno delle scuole superiori, applicandosi nello studio e nella frequentazione di corsi per sostenere le prove di ammissione e garantirsi la possibilità di frequentare i corsi di laurea negli atenei scelti. Anche per consentire alle loro famiglie di supportarli nella ricerca di un alloggio a condizioni sostenibili.
Quindi si arriva quasi tutti al redde rationem all’ultimo momento quando, dopo la pausa estiva, riprendono in un sol colpo e un po’ traumaticamente tutte le principali attività connesse alle routine familiari, con l’invariabile corollario dell’aumento del traffico, il graduale peggioramento del meteo e l’accorciamento dei tempi disponibili per la cura del proprio benessere.
L’altra questione è che la già notevole carenza di alloggi pubblici per studenti -che dovrebbero essere considerati una fondamentale componente del diritto allo studio- presente ai miei tempi, oggi si è aggravata.
Onestamente non ricordo quanto il mio posto letto costasse nelle due città dove mi è capitato di risiedere per motivi di studio. Ricordo solo che le condizioni di vivibilità, in entrambe, erano sotto la soglia del minimo vitale. Il livello di sicurezza degli impianti, il confort delle camere, la qualità degli arredi, ma anche della struttura stessa erano di infimo livello. Per questo mi sento di affermare che, qualsiasi fosse la somma, al di là della percezione che ne avevamo noi, era troppo elevata e costituiva un ingiusto arricchimento. In definitiva una turpe speculazione da parte di chi l’affittava e, naturalmente, tutto rigorosamente “in nero” perché, altrimenti, “cosa mi resta in tasca?...”.
In realtà, nonostante questa manifesta ingiustizia, entrambi i padroni degli alloggi a cui io e i miei colleghi e amici pagavamo l’affitto, erano umanamente simpatici e nessuno di noi si sarebbe sognato di considerarli dei biechi approfittatori. E questo la dice lunga sulla elasticità dei nostri principi, il nostro senso civico e la tolleranza verso forme di illegalità che stentiamo a riconoscere come dannose per la società nel suo complesso.
Oggi probabilmente il sistema dei controlli non consente una così massiccia evasione ma, quello che permane, è una diffusa sensazione che il problema più urgente non sia quello di risolvere la questione sociale degli affitti (tra cui quello per gli studenti, ma non solo) quanto quello di assicurare tutela a chi vuole guadagnare dallo sfruttamento della proprietà immobiliare a prescindere dal servizio che offre.
Infatti, l’aumento esponenziale di unità abitative destinate agli affitti brevi per i turisti sta sottraendo al mercato un’ulteriore quota di alloggi prima destinati agli studenti aggravando la situazione e rendendo di fatto insostenibile per famiglie con redditi medi il mantenimento di uno o due figli fuori sede per gli studi. Si è arrivati al paradosso che uno studentato veneziano abbia affittato a turisti i propri alloggi per 150 euro a notte!
Secondo Cassa Depositi e Prestiti, a fronte di 830 mila studenti fuori sede vi sono 40 mila posti in residenze pubbliche. Meno del 5%. Numeri, peraltro, in flessione costante dal 2018.
Gli studenti (UDU) denunciano peraltro una mistificazione dei numeri legati alle realizzazioni fatte nell’ambito del PNRR e ambiguità sulle modalità di destinazione dei fondi che permetterebbero ai privati che costruiscono e gestiscono residenze universitarie anche un utilizzo speculativo dei fondi (cfr. Diritto al Profitto – come sperperare i fondi del PNRR).
Triste vedere come un Paese che nella sua retorica continua a rilanciare la necessità di investire sui giovani e sulla loro formazione non riesca a mettere in piedi un programma credibile per una funzione così importante.
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Foto di Jakub Żerdzicki su Unsplash