L'editoriale del Presidente di AUDIS Tommaso Dal Bosco
Qualche settimana fa nella chat dei genitori di mia figlia minore che frequenta la terza media, è apparso un invito a versare un contributo “volontario” di 31 euro (mediante il sistema telematico obbligatorio PagoPa) per l’acquisto di tende ignifughe.
La richiesta ha scatenato una querelle di quelle tipiche di queste chat in cui, non solo le differenze di pensiero, ma anche banalmente le modalità di comunicazione tendono a polarizzare le discussioni e a renderle improduttive.
Non vi partecipo mai ma, questa volta, ho deciso di dire la mia. Non darò questo contributo per le tende. E non lo farò per un motivo egoistico: siamo a poco più di due mesi dalla fine del ciclo triennale e, dato che mi aspetto che la scuola a cui si iscriverà mia figlia il prossimo anno avrà le medesime carenze e sarà necessario tassarsi per tutto, ad iniziare dalla leggendaria carta igienica, il mio contributo volontario lo darò per quella.
La riflessione che mi ha portato ad assumere questa posizione antipatica è legata alla mia ormai lunga esperienza con le scuole.
Come genitore ho infatti partecipato per ben 6 anni (i due cicli di medie dei miei figli) a cadenza semestrale alle giornate del decoro.
Sapete cosa sono? Sono quei giorni festivi o prefestivi in cui genitori volontari armati di vernici, stucchi, ferramenta e attrezzi di ogni genere (tutto portato da casa o acquistato all’uopo e a proprie spese) si recano nelle scuole dei propri figli e, riparando tapparelle, verniciando pareti e infissi, aggiustando armadi e banchi tentano di renderle minimamente più, appunto, decorose.
Qualcuno più destro o, addirittura, professionale, qualcun altro meno o, addirittura, maldestro ma tutti assieme appassionatamente e anche, bisogna dirlo, in allegria per cercare di mettere una toppa a una delle più vergognose sconcezze di questo Paese: le condizioni in cui versa mediamente (e con le solite differenze territoriali) l’edilizia scolastica.
Nella mia veste di funzionario del sistema associativo dei comuni ho poi partecipato all'attuazione di uno specifico programma sistemico di riqualificazione dell’edilizia scolastica osservando come sia incredibilmente inefficiente il sistema di intervento adottato per prassi in questo campo.
È vero che i soldi sono pochi (e questo è già un problema perché non dovrebbe essere così) ma i meccanismi di allocazione sono irrazionali e tali per cui non si interviene mai dove c’è più bisogno ma solo dove l’amministrazione è più rapida ed efficiente nel produrre le carte necessarie ad aggiudicarsi il finanziamento che di volta in volta finanzia non solo la ristrutturazione o la sostituzione ma, non di rado, singoli elementi come le caldaie, le palestre, le LIM (lavagne interattive multimediali).
Non dimenticherò mai il caso di un sindaco inquisito per aver cercato di dimostrare, oltre le sue effettive necessità, lo stato di degrado della scuola del suo paese per aggiudicarsi il bando ministeriale.
E che cos’è questa se non una forma estrema di volontariato per acquistare le tende ignifughe?
Fuori dal paradosso, quello che penso è che sia necessario valorizzare e organizzare industrialmente la vocazione volontaria che dimostrano i genitori delle “giornate del decoro” strappandola al fastidioso e colpevolizzante cabotaggio da oratorio (rispettabilissimo ma inadeguato a risolvere problemi sistemici) e offrendo loro occasioni professionali di investimento all’interno di strumenti di ingegneria finanziaria a cui affidare la ristrutturazione delle scuole di quartiere.
Un nuovo schema di gioco attraverso cui, invece dei salti mortali necessari ad aderire agli standard del bando, la comunità decida cosa le serve e organizzi i propri asset e mezzi a quel fine ribaltando la prospettiva.
L’effetto non sarebbe solo quello di ottenere scuole migliori e liberare le domeniche del decoro ma anche quello di sgravare la PA centrale dalla elaborazione di cervellotici e inefficaci meccanismi distributivi delle scarse risorse disponibili e valorizzare il risparmio privato indirizzandolo verso la rigenerazione dei propri quartieri mentre oggi, nelle mani dei grandi gestori globali, finanzia le infrastrutture sociali di qualche altro paese lontano.