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Casa è città: basta ovvietà, serve un’agenda urbana coraggiosa

Casa è città: basta ovvietà, serve un’agenda urbana coraggiosa

L'editoriale del Presidente Tommaso Dal Bosco
Nelle ultime settimane, il tema della casa è tornato al centro del dibattito politico-istituzionale. Il segnale più forte è arrivato a livello europeo, con l’istituzione di una commissione parlamentare dedicata alle politiche abitative, seguita dalla nomina di un commissario ad hoc (mai successo). Un passaggio importante, frutto delle pressioni esercitate da diversi paesi membri, ma anche –diciamolo– della consueta dinamica per cui l’aspettativa di nuovi canali di finanziamento europei rimette in moto meccanismi di posizionamento nazionale, talvolta più per accaparrarsi risorse che per cambiare realmente le politiche.

In questo clima, si sono moltiplicate anche le iniziative a livello nazionale: un documento e una conferenza programmatica del Partito Democratico, l’evento “All We Need is Home” promosso dal Comune di Roma, l’annuncio di un’iniziativa dell’ANCE prevista per ottobre, la dichiarazione del nuovo presidente ANCI Manfredi che ha inserito l’abitare tra le priorità dell’associazione. Ben venga tutto questo, ma parliamone con lucidità: parlare di casa non è sufficiente. È tempo di tornare a pensare politicamente alla città.

Il rischio –evidente– è che il rilancio della questione abitativa si risolva in una nuova stagione di retorica rivendicativa, che parla di casa come emergenza e di diritti come enunciazione, senza proporre nulla che somigli a una visione di società o a una strategia urbana di lungo periodo. Molte delle riflessioni circolanti in questi giorni si affidano a dati noti e stabili da anni, agitati come se fossero sintomi di una crisi improvvisa. Le famiglie in lista d’attesa per l’edilizia residenziale pubblica sono da quindici anni attestate sulle stesse cifre. Non è questo il problema nuovo. Il vero problema è che da quindici anni si è rinunciato a pensarci davvero.

Oggi il tema della casa viene spesso affrontato in chiave moralistica (diritto alla casa), economicistica (tasso dei mutui, affitti troppo alti), o tecnica (quanto ERP, quanta rigenerazione). Ma se vogliamo davvero cambiare passo, dobbiamo dire qualcosa di più profondo. E forse anche un po’ più scomodo. Ad esempio: la questione abitativa è anche –e forse soprattutto– una questione di proprietà. E non si tratta di abolire la proprietà privata, ma di rimetterla in discussione nel suo rapporto con la funzione sociale: non come eccezione ma come principio ordinatore. Lo impone la Costituzione, lo impone la realtà delle città, dove interi pezzi di territorio sono ostaggio della rendita e dell’opportunismo.

Per questo, il problema della casa non è un “silos” tra i tanti dell’agenda urbana. È il prodotto plastico di un modello di sviluppo sbagliato, che ha affidato alla speculazione e alla logica della rendita il governo del territorio. Una stagione che ha distrutto spazi, aumentato le disuguaglianze e reso tossico l’accesso alla casa, non solo per chi è povero, ma anche per gli studenti, le fasce medie, i lavoratori stagionali e le imprese che li reclamano.

E non basta nemmeno evocare strumenti, come il PINQuA, che non hanno mai rappresentato una risposta politica all’altezza. Lo abbiamo già scritto: il PINQuA non è stato, né per metodo né per merito, la piattaforma di una nuova politica urbana. Al contrario, ha replicato l’impostazione “bandocentrica” di molte altre politiche pubbliche, premiando la capacità di progettare secondo standard burocratici e non la capacità di produrre trasformazioni reali. Chiedere a chi ha provato a cimentarsi col PPP sul PINQuA mettendoci risorse proprie.

In questa stagione di ritorno dell’abitare nel discorso politico, AUDIS intende ribadire con forza un’altra prospettiva. Una agenda urbana che tenga insieme casa, città, economia, mobilità pubblica (e privata), poteri locali, strumenti finanziari e risorse pubbliche e private. Un’agenda che non rincorra l’emergenza ma proponga un progetto di società, in cui la casa non è il punto di partenza ma l’indicatore visibile di un’ingiustizia strutturale o di un’innovazione possibile. Ben venga il dibattito, dunque. Ma che sia coraggioso. Che non si limiti alla denuncia, ma interroghi davvero le regole del gioco. Perché senza un’urbanistica nuova, anche il diritto alla casa rischia di restare una promessa vuota.

 

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Foto di Aliff Haikal su Unsplash


07/04/2025
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