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Due provocazioni in tema di casa e mobilità

Due provocazioni in tema di casa e mobilità

L'editoriale del Presidente di AUDIS Tommaso Dal Bosco

Vivo a Roma da tanti anni.
Quando ci sono arrivato avevo poco più di 30 anni ed energia da regalare. Ci sono arrivato con il sogno di tutti: quello di scappare dalla provincia alla ricerca delle opportunità che solo la metropoli ti può dare. La mia passione, poi, per le politiche pubbliche faceva di Roma il posto di elezione.
Avevo un eccellente lavoro, niente famiglia, grande libertà e ho vissuto quindi i miei primi anni romani con spensieratezza.
Certamente, tutte queste forti motivazioni facevano premio sulle difficoltà che la metropoli riserva, tuttavia sono anche convinto che, a questa buona disposizione da parte mia, abbia anche contribuito il particolare momento della città.
Eravamo più o meno verso la fine della prima giunta Rutelli, il primo sindaco eletto direttamente dai cittadini grazie alla riforma del 1993 e la città era davvero in grande fermento.

Secondo la percezione che ne avevo, sicuramente superficiale, da neofita, tale fermento era simboleggiato dai lavori in via di completamento della linea n. 8 del tram che, da Largo di Torre Argentina attraversando tutta Trastevere, lungo la circonvallazione Gianicolense, portava fino al Casaletto.
Dopo 26 anni e molti altri sindaci eletti direttamente, quel fermento, quell’entusiasmo (non so se mai condivisi dai cittadini romani notoriamente scettici, spesso fino al cinismo) si sono spenti.

Certo, l’età non più verde con l’affievolirsi della carica vitale che mi aveva portato qui, ci ha messo del suo. Ma, come ero certo che anche la crescita e il rinnovamento della città di allora contribuissero alla mia buona disposizione verso essa, oggi sono altrettanto certo che le molte promesse mancate di quella stagione contribuiscano in modo decisivo al radicale cambiamento di prospettiva con cui oggi giudico il modo di vivere cui questa città ti costringe.

Ogni volta che prendo un taxi (ne prendo almeno un paio al giorno) ripeto questi cenni autobiografici di solito per assecondare l’umore dell’autista e le sue imprecazioni contro il traffico e le scelte sulle politiche della mobilità della amministrazione cittadina.
Di solito però le accompagno anche a delle riflessioni più radicali che, in chiave un po’ provocatoria, questo mese voglio condividere con voi.
I principali problemi della città sono legati alla casa, alla mobilità e ai rifiuti. Di questi ultimi non parlo per mancanza totale di cognizione delle specifiche implicazioni organizzative (diverse da quartiere a quartiere) tecnologiche e finanziarie.
Sulla casa e la mobilità, invece, voglio fare una affermazione forte: la casa e l’automobile sono cose troppo serie, troppo impattanti sulla collettività sul piano ambientale, economico e sociale, per lasciarle all’arbitrio individuale dei singoli siano essi cittadini o imprese.
Bisogna andare verso una regolazione pubblica che disincentivi la piccola proprietà immobiliare, perché questa non è in grado di gestirla e di manutenerla con la responsabilità che le dovrebbe essere richiesta (come ora fa l’Europa) sia nei confronti degli inquilini affittuari (da trattare come clienti e non come disperati che non possono acquistare) sia verso la collettività (risparmio energetico, riduzione delle emissioni e qualità paesaggistica). Ma non è nemmeno in grado di difendere sé stessa dalla volatilità dei mercati sia rispetto alle macro-crisi monetarie o finanziarie, mondiali o regionali, sia rispetto a quelle più piccole di scala locale, quando ad esempio una trasformazione urbana o l’introduzione di una sgradita infrastruttura minacci di incidere negativamente sui valori.
Per gli stessi motivi, dovrebbe essere disincentivata la proprietà dei mezzi per la mobilità privata: il sacrosanto diritto a muoversi liberamente, non può trasformarsi in quello di possedere 2, 3, 4 automobili per famiglia secondo le proprie disponibilità economiche, senza curarsi dell’impatto che questo ha sulla collettività.
La presenza sulla scena urbana di una massa di lamiere accatastate malamente a lato strada, ferme per il 95% del loro ciclo di vita ad occupare spazio pubblico, a rendere il traffico meno fluido ed enormemente più insicuro, è intollerabile per la salute pubblica, per l’ambiente, per i costi che genera sulla collettività (sono stati fatti dei calcoli che potete trovare in questo lavoro sulla mobilità che l'AUDIS ha sviluppato) e anche per la qualità del paesaggio. Né si può pensare di continuare a introdurre in un sistema sempre uguale tutte le innovazioni che la scienza e la tecnologia rendono disponibili (sharing di auto, biciclette, ciclomotori, monopattini) di per sé meritorie ma che contribuiscono solo ad aumentare la pressione su un organismo già oltre la soglia della fragilità.
Entrambe queste degenerazioni urbane, peraltro, sono tra gli agenti più significativi dell’aumento del divario economico e sociale tra la porzione affluente e quella meno fortunata della popolazione. 

Le opzioni che suggerisco, per essere praticabili, dovrebbero essere simultaneamente accompagnate da politiche pubbliche, mirate ad assicurare a tutta la popolazione servizi abitativi adeguati, con stock crescenti di case in affitto, elevate prestazioni energetiche e ambientali e qualità abitative uguali per tutti. Un sistema gestito da operatori industriali specializzati in grado di applicare processi efficienti in termini di costruzione, manutenzione, controllo dei costi, garanzie di qualità e, non ultimo, capacità di negoziare gli sviluppi urbanistici con le amministrazioni. Come bilanciamento, poi, operatori pubblici in grado di competere con quelli privati per l’aggiudicazione delle aree, dei relativi dei diritti edificatori e la gestione per fungere da calmiere sui prezzi.

Per le auto e, più in generale, per assicurare il diritto ad una mobilità efficiente e confortevole, bisognerà predisporre adeguate aree di parcheggio in cui concentrare servizi di manutenzione e rifornimento (non si penserà di costellare i marciapiedi di colonnine per la ricarica elettrica assecondando l’attuale degrado?!) e liberare le strade per farvi circolare in sicurezza e fluidità taxi, mezzi pubblici e tutti i mezzi destinati alla condivisione, possibilmente costringendo gli operatori ad aree operative coincidenti e non una diversa dall’altra. Si ridurrebbe così nel tempo la necessità di possedere mezzi propri che diventano rapidamente vecchi ed inquinanti, si ridurrebbero i costi di gestione e aumenterebbe l’efficienza dei servizi pubblici e non servirebbe costruire grandi infrastrutture come le metropolitane (che, come ho già scritto nello scorso editoriale, sarebbe stato necessario farle 50 anni fa, non ora).

Perché le ho chiamate “provocazioni”? È effettivamente oggettiva la difficoltà di adottare scelte di sviluppo urbano di questa natura? 

Oppure siamo noi che, sfiduciati nella capacità della politica di elaborare strategie complesse, ci siamo rassegnati al dualismo oppositivo dei dibattiti centrati su soluzioni salvifiche affidate a grandi infrastrutture (metropolitane, termovalorizzatori, rigassificatori, ecc.) molto redditizio sul piano elettorale - per le polarizzazioni che genera - ma inutile al fine di risolvere i problemi? 

 

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Foto di Marco Chilese su Unsplash


28/03/2023
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