Di una legge nazionale che regoli e metta ordine in maniera definitiva e chiara alla materia della rigenerazione urbana, partendo naturalmente dalla demarcazione di ciò che è da intendersi rigenerazione e ciò che non cade semplicemente nel novero della sostituzione edilizia, c’è sicuramente grande bisogno. Non a caso sono tanti i disegni di legge che arrivano in Parlamento, di varie provenienze. Lo scorso 16 aprile il presidente Audis Tommaso Dal Bosco è stato ascoltato in audizione dalla 8ª Commissione del Senato (ambiente, transizione ecologica, energia, lavori pubblici, comunicazioni, innovazione tecnologica) per portare la voce della nostra associazione e le esperienze dei professionisti che vi gravitano intorno ad arricchimento del dibattito.
Qui di seguito proponiamo ai lettori il testo dell’intervento di Dal Bosco nell’occasione.
Premesso che tra i vari progetti di legge è il progetto AS 863 “Disposizioni in materia di rigenerazione urbana”, presentato dal Senatore Occhiuto, che ci pare più rispondente alle necessità del territorio.
Ne apprezziamo, in particolare:
•la semplificazione delle procedure;
•il protagonismo delle città metropolitane e dei comuni;
•la dichiarazione di pubblica utilità dei Progetti di Rigenerazione Urbana;
•la concessione di finanziamenti pubblici direttamente al territorio, senza alcuna intermediazione delle regioni;
•la possibilità che singoli Progetti di Rigenerazione Urbana possano vedere la luce anche nelle more di approvazione dei Piani di Rigenerazione Urbana.
•la necessità di adeguare le Leggi regionali alla Legge nazionale;
Non possiamo, tuttavia, esimerci dal sollecitare una riflessione che riguarda tutti i progetti di legge presentati.
IL CONCETTO DI CITTÀ
Per trattare di rigenerazione urbana bisogna, innanzitutto, definire che cosa s’intende per città. E qui emerge una prima grande distinzione tra città metropolitane e conurbazioni che “cubano” oltre 500.000 abitanti e le piccole e medie città di provincia, di cui il nostro Paese fortunatamente abbonda, per lo più ben dotate di servizi e ben separate tra loro da aree agricole di grande estensione, sebbene non prive di aree sottoutilizzate, dismesse o degradate. Si tratta di un modello urbano incardinato, per lo più, in un centro storico ancora vitale, attorno al quale sorge una periferia di modesta entità.
Le prime - le città metropolitane e le conurbazioni – presentano caratteristiche del tutto peculiari: un centro relativamente piccolo attorno al quale sorge una periferia molto ampia nella quale sono venute meno le relazioni coevolutive tra comunità e territorio. È qui che le differenze – di ricchezza pro – capite, d’istruzione, di qualità dei servizi, di stile di vita tra centro e periferia sono molto rilevanti ed è qui che si riscontra una conflittualità sociale che, non solo in Italia, sfocia sempre più spesso in episodi di violenza. Ed è qui che la politica deve intervenire prioritariamente, con misure di rigenerazione che devono essere, come già alcune leggi regionali ribadiscono, tanto sociali che economiche che ambientali, in riferimento ai Social Development Goals (SDG) delle Nazioni Unite.
Il resto rientra, concettualmente, più nella sostituzione edilizia. Di certo utile, di certo apprezzabile e da agevolare, ma alla quale non sempre si può attribuire un valore sociale, economico o ambientale ulteriore rispetto alle norme sul risparmio energetico che interessano, oramai, qualunque intervento edilizio, e che può essere affrontata anche con strumenti esistenti (si veda proposta AUDIS di revisione della L. 457/1978 in: https://audis.it/dall-associazione/il-futuro-della-rigenerazione-urbana-ha-un-cuore-antico/)
Tale distinzione ci pare d’obbligo, soprattutto ai fini dell’accesso a risorse pubbliche relativamente scarse che non possono essere disperse in migliaia d’interventi diversi sull’intero territorio nazionale, ma concentrate dove maggiori sono le disuguaglianze ed i rischi di disgregazione sociale.
Ciò premesso entriamo, adesso, nel merito della governance.
LA GOVERNANCE
A tale riguardo è innanzitutto necessario, a nostro avviso, definire una scala territoriale adatta per trattare il tema della rigenerazione urbana propriamente detta che deve comprendere i fenomeni della mobilità – soprattutto in relazione al pendolarismo – della uniforme distribuzione territoriale dei servizi essenziali, dell’abbattimento delle emissioni, del ripristino della natura all’interno dei tessuti territoriali metropolitani mediante tecniche NBS (Nature Based Solutions) e molto altro.
Ed allora ci accorgiamo che i Piani di Rigenerazione Urbana ci sono già: sono i Piani Territoriali Metropolitani e i Piani Territoriali Provinciali - i più recenti, che già incorporano aspetti sociali, economici ed ambientali, e quelli più datati che possono incorporarli mediante varianti apposite.
Se attribuissimo il valore di Piano Territoriale di Rigenerazione Urbana agli attuali Piani Territoriali aventi determinate caratteristiche, entro un anno dalla approvazione della Legge i Comuni potrebbero disporre di un quadro ben definito nel quale operare.
Al contrario, se dovessimo predisporre una serie di piani “a cascata” totalmente nuovi, da quello nazionale a quelli regionali a quelli comunali, dovremmo attendere decenni prima di vedere la posa della prima pietra.
Dopo tanti anni d’esperienza sul campo si può affermare che, purtroppo, l’urbanistica in Italia, anziché un motore di sviluppo del Paese è spesso un ostacolo alle attività economiche senza, con questo, “produrre” un territorio ordinato ed a misura d’uomo.
La soluzione non è rinunciare alla governance pubblica, anzi è l’esatto contrario: operare con rapidità ed efficacia sul piano urbanistico consente di anticipare le strategie degli operatori economici e di finalizzarle ad obbiettivi collettivi, anziché rallentarle e, alla fine, subirle.
A valle dei Piani Territoriali di Rigenerazione Urbana, i Comuni singolarmente o, ancor meglio, in collaborazione tra loro, possono approvare Piani locali di rigenerazione urbana o Progetti di rigenerazione urbana – nella forma, questi ultimi, di studi di fattibilità tecnico-economica anche d’iniziativa privata – aventi, entrambi, carattere di pubblica utilità e natura urbanistica “conformativa” in variante ai Piani Regolatori Comunali vigenti, ai sensi dell’art.19, commi 2, 3 e 4 del D.P.R 327/2001, innovato dal Dlgs. 302/2002.
L’eventuale inerzia delle Città metropolitane e delle Province non deve tuttavia impedire ai Comuni, come previsto dal Senatore Occhiuto, di approvare Piani locali di rigenerazione urbana o Progetti di rigenerazione urbana.
Ciò significa guadagnare decenni nella “messa a terra” delle politiche di rigenerazione urbana, rispetto ad un approccio che tenda a ripetere i “bizantinismi” del passato.
PUBBLICO E PRIVATO
Un processo di governance pubblica rapido ed efficace apre la strada all’impiego di capitali privati “pazienti”. In sostanza all’uso del risparmio gestito: un “tesoro” mai adeguatamente valorizzato e mai esplicitamente indirizzato verso obiettivi di pubblica utilità, di cui vi è tuttavia un estremo bisogno per il sostegno della crescita e dell’occupazione, a fronte di investimenti pubblici che, terminato il PNRR, saranno giocoforza scarsi.
Lo si può fare, prioritariamente, mediante la costituzione di OICR ESG (fondi etici) ad apporto di beni pubblici, ai sensi dell’art. 33 del DL 98/2011, ispirati ai principi SDG delle Nazioni Unite e conformi al regolamento europeo SFDR “sorvegliato” da Consob: una garanzia di trasparenza e rigore, anche finanziario, degli interventi.
Ed allora anche risorse pubbliche relativamente esigue a fronte di un compito così complesso e difficile (mettere mano all’organizzazione territoriale delle metropoli e delle conurbazioni) possono sortire risultati di grande interesse: un conto è impiegare direttamente qualche centinaio di milioni di euro all’anno – ben poco se confrontato con gli obiettivi da raggiungere – un altro conto è utilizzare quelle stesse risorse pubbliche come moltiplicatore del risparmio privato, potendo contare, di conseguenza, su diversi miliardi di euro all’anno.
Al riguardo, il riferimento al Project financing ed alla concessione, presente nel progetto di legge dell’on. Occhiuto, ci pare riduttivo.
STOP AI BANDI, MEGLIO I FONDI A SPORTELLO
Ultimo punto: come intervenire con risorse pubbliche imparando dall’esperienza.
L’agenda Urbana del MIMS, col senno del poi, a pag. 264 ammette che nelle città metropolitane, dove è necessario operare tramite una visione strategica di vasta scala, lo strumento dei “bandi” non ha prodotto granché:
” per le città metropolitane principali (o almeno per Milano, Roma e Napoli) sarebbe utile uscire dalla logica della procedura per bandi e ragionare in un’ottica di collaborazione tra i vari livelli istituzionali su piani a lungo termine di investimento volti a raggiungere determinati obiettivi.” Ed ancora “Per le città metropolitane i contributi episodici producono risultati che da un lato drenano risorse che altrove sarebbero rilevanti, dall’altra finanziano interventi che non fanno la differenza su scala metropolitana”.
A nostro avviso, il mezzo migliore per intervenire, soprattutto nelle città metropolitane, è un “fondo nazionale a sportello” per integrare i flussi di cassa dei Progetti di Rigenerazione Urbana, solo nella misura in cui i rientri di mercato non siano sufficienti per garantire la reddittività degli investimenti effettuati, come già avviene in altri casi: dalle reti 5 G ai trasporti pubblici locali.
Naturalmente a questo scopo dovranno essere istituiti adeguati meccanismi valutativi ma, in questo caso, i tempi sarebbero estremamente ridotti.