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Un consiglio al nuovo Governo: stimolare l'investimento privato in servizi per la collettività

Un consiglio al nuovo Governo: stimolare l'investimento privato in servizi per la collettività

L'editoriale di ottobre del Presidente di AUDIS Tommaso Dal Bosco

La cronaca politica, che per noi non è certo mai stata una priorità, date le circostanze oggi ci offre un terreno di riflessione al quale non possiamo sfuggire.
L’evento della settimana è stato infatti il discorso dell’On. Giorgia Meloni e il voto di fiducia al suo Governo alla Camera.

La maggior parte degli osservatori sembra esercitarsi in chiave esegetica: quanto dell’estrazione, della formazione, della storia politica del Presidente del Consiglio (vuole così e noi rispettosamente così lo chiamiamo) si rintraccia nel suo discorso e quanto e in che modo è ragionevole attendersi che queste influenzino effettivamente l’azione del Governo. Non solo in rapporto al normale equilibrio con le diverse forze politiche che lo sostengono, ma anche in rapporto alle posizioni espresse dall'opposizione al Governo che l’ha preceduto.

Molti pensano che i margini di manovra che ha questo governo per realizzare le promesse elettorali (soprattutto flat tax e pensioni), siano praticamente nulli. La BCE detiene ormai una parte troppo importante del nostro debito ed è evidente che, se l’Italia si dovesse scostare o anche solo dimostrasse di volersi smarcare dai patti assunti in sede di Next Generation EU, le leve per farci rientrare nei ranghi sarebbero molto agevoli da manovrare.

Ma questo riguarda l’agibilità economico finanziaria

In realtà, come tutti sanno, il PNRR si nutre anche, se non soprattutto, di una serie notevolissima di riforme strutturali sulle quali esercitare la propria impronta politica con i numeri che l’attuale maggioranza (se si dimostrerà coesa) indubbiamente ha, sarebbe molto più agevole. Dalla riforma del sistema giudiziario a quella del fisco, da quella della P. A. a quella del mercato del lavoro, dalla riforma della Sanità al Codice dei Contratti pubblici e alla concorrenza. Alcune sono anche già state impostate con le leggi delega ma attendono ancora molti, moltissimi decreti delegati.

Insomma, ce n’è di che cambiare veramente il Paese. Se poi ci aggiungiamo l’annunciata riforma costituzionale ce ne rendiamo ancora più conto. Io sono stato particolarmente colpito da alcuni passaggi del discorso del Presidente Meloni. Non ha parlato specificamente di città. Ha fatto un cenno più generico ai Comuni dicendo che bisogna restituire loro centralità e, in particolare, aiutare i piccoli delle aree interne e montane a favorire la residenzialità e contrastare lo spopolamento. Ha parlato poi del risparmio privato dei cittadini italiani. Lo fanno da alcuni anni un po’ tutti i politici quando vogliono sottolineare la solidità del Paese a dispetto dell’enormità del debito pubblico.  Ha detto che è ormai vicino alla soglia dei 5 mila miliardi e che, in un clima di fiducia, potrebbe sostenere gli investimenti nell’economia reale.

Ora, intanto bisogna dire che una gran parte di quel risparmio è bloccato in immobili il cui valore si deprime proporzionalmente al progressivo degrado delle città che li ospitano, un’altra parte è affidata al risparmio gestito o direttamente in borsa, una terza parte è invece in depositi bancari. Si calcola circa 1.700 miliardi. Ecco: è logico attendersi che l’inflazione al 10% verso la quale stiamo galoppando, nel periodo di esecuzione del PNRR se ne mangi più della metà.

Ora, per aiutare questo Governo, se vuole, ad uscire dalla genericità, ricordo di aver già detto e anche scritto su queste pagine che ci sono 3 modi per far leva utilmente sul risparmio privato:

  • Tassarlo. Non sarebbe certo una politica di destra. Magari di Meloni sì, ma non certo di Salvini e ancor meno di Berlusconi.
  • Incentivarlo a comprare i titoli del debito pubblico. Ma questo aumenterebbe il debito e più ancora il suo costo dovendo dare un “premio” in termini di rendimento.
  • Costruire veicoli di investimento su infrastrutture come quelle scolastiche, sanitarie, per la mobilità, per il lavoro, per l’energia e le reti, insomma, per la collettività ai quali questo si possa credibilmente affidare. L’economia reale, appunto.

La prima soluzione presuppone una fiducia sconfinata nella capacità, razionalità, efficienza e tempestività della pubblica amministrazione e nell’efficacia della spesa pubblica. 

I limiti della seconda sono già stati evidenziati e si sommerebbero a quelli della prima. 

La terza soluzione appare la più efficiente e razionale. Difende il risparmio, permette di fare investimenti necessari ed urgenti, supporta crescita e occupazione e si fa senza debito pubblico. 

Pensiamo non solo alle nostre città ma, più in generale ai territori, mobilità, ospedali di prossimità, scuola, impianti sportivi, culturali e ricreativi, infrastrutture per contrastare la crisi idrica ed energetica.

È già disponibile in termini di strumentazione normativa. Non richiede riforme strutturali. È rafforzabile sul piano dell’efficacia soprattutto associandola sistemicamente con la strumentazione europea (regolamento sfdr, investEU), ed è quella sulla quale AUDIS ha concentrato la propria azione innovativa negli ultimi due anni, sia in termini teorici che in termini sperimentali con il progetto OICR e investimenti urbani e con la proposta per la revisione della legge 457 del 1978.

Da almeno un anno stiamo cercando di porla all’attenzione del dibattito pubblico. Abbiamo sempre temuto che una sua superficialissima, approssimativa ed erronea lettura potesse far nascere un sospetto di deriva privatistica. Anche fosse, e non è, anche questo rischio di pregiudizio ora potrebbe essere venuto meno.

Speriamo…


25/10/2022
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