Comincio a pensare che le scuole elementari abbiano lasciato un imprinting anomalo nella mente degli italiani, ponendo una sorta di blocco psicologico tra l’illecito e l’orgoglioso che aleggia sull’operato di molti come una sorta di etere impalpabile. Non vuole chiaramente essere in alcun modo una critica alla nostra metodologia didattica, ci mancherebbe anche in questa era di cyberdogmi dove è bene tenersi stretti alcuni capisaldi per non perdersi, ma è un’osservazione quasi sociologica. Vado a spiegarmi.
Scrivo la mia consueta rubrica in un’Italia davvero complicata, è in atto una trasformazione istituzionale tanto importante quanto sottovalutata, dagli enti centrali, ai locali, al sistema agenziale ambientale di prima importanza per le bonifiche di nostro interesse, Gentiloni sta per andare al Colle (quando leggerete ne saprete già di più), l’Europa ridisegna i propri standard, gli Obama se ne vanno (vedete pongo abilmente l’attenzione su chi va e non su chi arriva), in Austria pare vincano i verdi (questa è tutta da capire), il Giubileo finisce, i russi bombardano (pare non siano gli unici ma fanno più notizia), l’economia migliora, o peggiora, o chissà, ognuno sembra avere la sua idea…. e in tutto ciò i tecnici, come sempre, devono trovare il modo di mandare avanti la baracca.
Quindi, in questo scenario, a che punto siamo realmente con i siti contaminati? A che punto siamo in Italia, in Europa e nel mondo con le bonifiche ambientali? Questo è il vero quesito, ma non nel senso che sia il momento di fare il punto, bensì nel senso che in questo momento non c’è probabilmente modo e strumenti per dare una risposta a questa domanda, che, nel 2016 ormai finito, non è solo un problema ma “IL PROBLEMA”. Ecco, ricadendo sempre nel filosofico, forse anche a causa della musica classica e degli addobbi natalizi che mi circondano con cui le mie figlie hanno tempestato la casa, nel 2016 il problema dei siti contaminati è proprio che non sappiamo quale sia il problema, che faccia abbia, quanto sia esteso, quanto sia pesante.
Parlo ora agli addetti ai lavori, istituzionali, professionali, consulenti, committenti, e chiedo chi abbia una buona idea di quanti siano i siti contaminati in Italia e che tipologia ed entità medie comportino (ricordo anche che il Consiglio di Stato ha appena approvato lo schema di decreto sulla determinazione della riparazione del danno ambientale, che dopo i nuovi reati ambientali rappresenta la terza ruota della slot machine delle bonifiche: tira la leva e attendi la tua combinazione!). La risposta alla mia domanda è semplice ed universale: BOH!!?
Faccio ora la seconda domanda agli addetti ai lavori: quale anomala ed eccentrica strategia gestionale può pretendere di amministrare un problema con un minimo di successo senza prima occuparsi di capire bene di che problema si tratti? La risposta è ancora semplice: nessuno.
Si badi bene che ciò che manca sul quadro dei siti contaminati non è la composizione nazionale del puzzle regionale; ciò che manca è la conoscenza dei dati a livello locale perché la maggio parte delle Regioni né ha completato le anagrafi dei siti contaminati né ha sviluppato sistemi di integrazione tra l’anagrafe e gli strumenti di pianificazione territoriale, determinando così l’assenza dei dati sulla dimensione sia fisica che economica del fenomeno.
Agli addetti ai lavori non porgo più domande ma li invito a fare due conti insieme, confidando che per i navigati di questo settore si possa essere tutti daccordo per buona parte delle valutazioni. Escludendo il mondo dei SIN su cui ritorneremo più avanti, in una regione italiana si può affermare ci siano mediamente almeno 2000 procedimenti di bonifica attivi (in senso amministrativo), mettendoci dentro sia le procedure effettivamente aperte sia quelle potenziali e latenti che non vengono aperte perché non andrebbero comunque da nessuna parte per mancanza di risorse (2000 procedure sembrano tante ma non lo sono affatto). Moltiplicando per le venti regioni si arriva a possibili 40000 procedimenti amministrativi attivi sul territorio nazionale. Ipotizziamo ora che nessun sito di questi sia da bonificare (non sarebbe male) e che necessiti solo di alcune verifiche analitiche, piccoli interventi di urgenza e minime operazioni edilizie di supporto, valutando una spesa media di 25000 euro, arriviamo subito ad un miliardo di euro. Ipotizziamo ancora che un quarto di questi siti necessiti di una piccola bonifica stimata in 50000 euro tutto compreso, e per un altro quarto serva una bonifica più consistente da 250000 euro (cifre raggiungibili anche in punti vendita carburante), arriviamo a quattro miliardi di euro. Se poi un 5% dei siti affronta una bonifica consistente da un paio di milioni di euro si va verso un totale di dieci miliardi di euro. In più si aggiunge che, diversamente dai SIN che seppur di grandi dimensioni rappresentano un numero fisso a esaurimento man mano che vengono risolti, le procedure del territorio hanno un elevato turn over di nuovi casi, stabilendone una buona percentuale numericamente fissa nel tempo che rappresenta una quota di mercato costante.
È difficilissimo poter confermare o dettagliare queste stime fatte al volo (proprio perché non esistono gli strumenti per farlo), ma sospetto che l’istinto degli esperti di settore possa in qualche modo trovarvi una qualche conferma. L’aspetto economico è chiaramente un espediente dimensionale per descrivere il fenomeno al pari, e non inferiore, a quello tecnico e sociale, indicando una fetta di mercato davvero consistente sostanzialmente fuori reale controllo. Inoltre, nell’ambito della gestione del territorio le bonifiche ambientali hanno un valore strategico completamente diverso da altri settori come i “cugini” rifiuti, VIA-AIA, energetico, ecc… I procedimenti di bonifica hanno infatti caratteristiche “non ad istanza di parte”, o convenzionalmente “d’ufficio”, che in estrema sintesi implicano non la volontarietà ma l’obbligo esecutivo da parte del cittadino e delle imprese, che quindi, quando si trovano a che fare con operazioni sul territorio, nel mazzo di autorizzazioni volontariamente richieste e necessarie per eseguire i loro progetti, se ne trovano una con caratteristiche completamente diverse e per di più propedeutica sostanzialmente a tutte le altre. La conclusione è che parliamo di un settore di mercato consistente con dinamiche strategiche vincolanti non volontarie nei confronti dei cittadini e delle imprese, intesi sia come diretti interessati che come collettività.
Allora perché una cosa del genere sfugge tra le dita e non dispone di una visione organica? Qui torniamo (finalmente) all’introduzione, a quel blocco psicologico citato all’inizio, alludendo ad un’istintiva incapacità ed indisponibilità a “copiare” quello che fanno gli altri. Nel sistema italiano i siti contaminati sono divisi in SIN (Siti di Interesse Nazionale) di competenza del Ministero dell’Ambiente (usando una denominazione generica visto che potrebbe anche cambiare nome), in siti di competenza regionale e siti di competenza locale. Tra queste diverse tipologie ci sono molte differenze, soprattutto tra siti ministeriali e regionali in base alla delega di competenza dallo Stato alle Regioni. Di fatto il Ministero dell’Ambiente è assimilabile ad una ventunesima regione che si occupa dei siti di maggiori dimensioni ed in regime speciale visto che ha una disciplina ad hoc. Ognuna di queste entità possiede un sistema autoreferenziato, più o meno strutturato, di gestione dei siti contaminati, e sostanzialmente nessuno si occupa e si è mai occupato di cercare una uniformità territoriale sovraregionale, lo stesso Ministero quando parla di siti contaminati allude sostanzialmente esclusivamente a ciò che accade nei suoi 40 SIN. Attenzione perché il problema non è solo anagrafico in senso stretto, ma è proprio comportamentale, dal momento che le occasioni di scambio e condivisione tra diverse realtà territoriali ci sono, momenti di analisi delle best practices non sono rari, ma poi quando si ritorna nei propri confini si ha un’istintiva riluttanza a copiare, che adesso possiamo trasformare in metabolizzare, ciò che altri mettono in campo anche se molto più efficace rispetto alle proprie pratiche. Questo accade interregionalmente in Italia ma anche rispetto all’estero.
È cruciale il fatto che i paesi europei in cui le cose vanno meglio sui siti contaminati sono proprio quelli che si sono concentrati nel costruire un sistema territoriale anagrafico efficace. Esempio clamoroso, da me già citato in altre occasioni, è proprio la città di Bruxelles che ha istituito un capillare database sulla qualità dei suoli che, affiancato da meccanismi certificativi ed abbinato al sistema notarile, ha fatto impennare l’indice di riqualificazione del territorio. Verrebbe da dire “basta copiarlo”, ma evidentemente non è così automatico dal momento che gli esempi nazionali di sistemi gestionali strutturati dei siti contaminati, di cui le anagrafi rappresentano solo la base, sono rari, fanno fatica a progredire, e sono diversi tra di loro. Indicando che non solo non si prende esempio dall’estero ma neanche tra Regione e Regione ci si “passa” o si “copia” quello che c’è di buono per magari svilupparlo ulteriormente.
Vado in chiusura dell’intervento rendendomi conto di essere stato un po’ meno leggero del solito, ma siamo capitati su un problema davvero stagionato che inseguo da diverso tempo, per il quale anche insieme ad AUDIS stiamo cercando soluzioni ma verso il quale faccio anche un appello a chiunque possa avviare efficaci meccanismi di sharing sulla tematica. Per chi non se ne fosse accorto le bonifiche ambientali hanno passato il punto di non ritorno, bisogna mettersi l’anima in pace e andare avanti.
Contributo a cura di Igor Villani