di Roberto Nastri
Il mese scorso abbiamo cominciato un racconto a puntate sul nostro progetto sperimentale sugli Oicr-Esg, ideato e portato avanti insieme all’Università di Parma e alla Città Metropolitana di Milano. Un lavoro sperimentale, che sta già dando frutti tangibili, su come possano essere trasformati i processi di rigenerazione urbana e su quali strumenti si possa contare per essere attuativi di strategie pubbliche e, allo stesso tempo, concretamente fattibili. In questa seconda puntata arriviamo a parlare dell'analisi dei capitali d'investimento per giungere al punto di sintesi tra le strategie delle industrie e i bisogni della collettività.
L’immagine qui riprodotta rappresenta il risultato possibile del riassetto della città–regione di Milano tramite uno OICR ESG (per la simbologia rimandiamo all’articolo precedente).
Sappiamo che tale risultato è possibile, ma non sappiamo quanto sia probabile. Per questo abbiamo messo in atto una serie di azioni rivolte a provare sperimentalmente la nostra congettura e la sua riproducibilità mediante un “protocollo” dato.
È utile, a questo punto, fare un passo indietro.
La grande concentrazione d’investimenti nel Comune di Milano –da City Life a Porta Romana a Scalo Farini– non fa che accrescere le disuguaglianze tra centro e periferia, al punto che c’è da chiedersi se essa, intesa dai più come “rigenerante” a scala locale, non sia invece da considerare irrilevante a scala più ampia.
D’altro canto il capitale va dove maggiori sono i profitti e non vi è -è di tutta evidenza- nessuna “mano invisibile del mercato” che tenda a mitigare gli squilibri territoriali e sociali prodotti da tale allocazione, diseguale, del capitale.
La città dei ricchi e la città dei poveri –titolo dell’ultimo libro di Bernardo Secchi ( B. Secchi, Roma 1991)– è un dato di fatto.
D’altro canto il capitale non è tutto uguale: è caratterizzato da un tasso decrescente di opportunismo via via che aumenta, al suo interno, la componente ESG (Environmental , Social, Governance) ispirata ai 17 obiettivi SDG (Sustainable Development Goals) delle Nazioni Unite: si tratta di una mutazione “genetica” relativamente recente dovuta a molti fattori, ma soprattutto ad una domanda d’investimenti sostenibili espressa dal risparmio privato, per effetto di una sensibilità ambientale e sociale che, nella storia dell’umanità, non ha mai avuto una diffusione così ampia.
Ed anche le strategie industriali non sono tutte uguali: alcune “remano” per l’accentramento, altre per il decentramento di posti di lavoro e servizi.
Ciò premesso, da un anno a questa parte, abbiamo intrapreso una “lettura”, non ancora conclusa, dei capitali d’investimento e delle strategie industriali per individuare le forze favorevoli alla nostra congettura e per renderle partecipi di un “luogo” dove possano trovare una sintesi mediante la quale attuare sia il loro proprio telos che il telos della collettività, espresso dai piani territoriali di area vasta.
Tale “luogo” è il primo passo –riteniamo- per la messa a punto di un protocollo finalizzato alla riproducibilità del nostro esperimento. Lo abbiamo chiamato, forse impropriamente, “advisory board”.
Adesso dobbiamo attendere che tali forze trasformative, di cui fanno parte Ferrovie dello Stato, l’Associazione Italiana delle Imprese di Assicurazione, la Banca Europea degli Investimenti, Società di gestione del Risparmio e grandi gruppi multinazionali orientati al decentramento del lavoro ibrido, trovino un’intesa tra loro.
Noi abbiamo creato il “luogo”, il resto non spetta a noi.
Proseguiamo, tuttavia, il nostro lavoro per meglio comprendere le dinamiche economico–finanziarie all’origine delle trasformazioni territoriali afferenti, soprattutto, alle relazioni tra flussi di cassa operativi (Opex) e capitali d’investimento (Capex). Ne tratteremo nel prossimo articolo.