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La città che vogliamo non si costruisce con le ruspe

La città che vogliamo non si costruisce con le ruspe

L'editoriale del Presidente Tommaso Dal Bosco
Siamo –giustamente– scandalizzati dell’idea che spudoratamente il nuovo presidente degli Stati Uniti, il redivivo Donald Trump, ha proposto per la Striscia di Gaza: deportare un paio di milioni di persone, demolire tutto e ricostruire resort, torri, infrastrutture. Una “rigenerazione” post-bellica in perfetto stile immobiliarista, senza neanche la premura di nascondere il movente speculativo dietro il velo di una minima retorica umanitaria. Eppure, al netto dell’abisso che separa la brutalità di un contesto bellico dalla nostra quotidianità urbana, siamo sicuri che ciò che proponiamo noi, nelle nostre città ferite, sia davvero così diverso?

Quanto è sottile –e talvolta inconsistente– la linea che separa una rigenerazione urbana da una bonifica mascherata, da una rimozione “umanizzata” dei problemi, da un intervento di sostituzione sociale e materiale che si traveste da miglioramento della qualità della vita? Cos’altro è la “gentrificazione” se non un processo di espulsione dei ceti popolari a vantaggio di élite economiche e culturali che se ne appropriano per motivi estetici?

Abbiamo detto, più volte, che è necessario ripartire da una ridefinizione del concetto di rigenerazione urbana. Ma oggi ci accorgiamo che c’è qualcosa di ancora più urgente: serve ridefinire l’orizzonte a cui la rigenerazione dovrebbe tendere. Non è sufficiente cambiare le pratiche, bisogna cambiare il fine. In altre parole, dobbiamo tornare a chiederci quale città vogliamo.
E in questa domanda, eminentemente politica, riscopriamo una frattura profonda che attraversa la storia del pensiero economico e civile: quella che l’economista e pensatore cattolico Luigino Bruni pone con mirabile sintesi tra la città di Adam Smith e quella di Antonio Genovesi. La città di Smith è quella del calcolo individuale, del mercato, dell’utile e dell’efficienza. Quella di Genovesi è la città della reciprocità, del riconoscimento, del “benvivere”, delle relazioni che generano valore comune.

È a questa seconda città che dobbiamo guardare, se vogliamo che la rigenerazione sia davvero un processo generativo, e non un’operazione di make-up urbano legittimata da un’ideologia estetizzante e funzionalista.

Purtroppo, la direzione attuale –nel discorso pubblico dominante– va quasi sempre dalla parte opposta. Per dire: praticamente tutti i progetti di legge sedicenti per la “rigenerazione urbana” giacenti in Parlamento da anni (senza mai arrivare in fondo) sembrano più interessati a creare corsie preferenziali per operazioni immobiliari che a promuovere condizioni per l’abitare dignitoso, accessibile e relazionale. Il mainstream urbano sembra pensare la rigenerazione come un affare per pochi, più che come una politica per tutti.

E la stessa logica sottende altri ambiti. Basti guardare al nuovo Piano nazionale per le aree interne: un documento del Governo che, nero su bianco, classifica i territori secondo la loro possibilità di “farcela”. Alcuni ce la fanno da soli, altri così così, altri ancora solo a certe condizioni. E poi ci sono quelli che non ce la faranno mai. Da accompagnare verso la consunzione. Magari tutti in un condominio di una qualsiasi periferia urbana. Una sorta di eutanasia programmata, travestita da programmazione razionale. Anche qui: la città (il territorio) di Smith, non quella di Genovesi.

Se davvero vogliamo costruire una rigenerazione urbana all’altezza delle sfide del nostro tempo –crisi climatica, disuguaglianze, democrazia impoverita– dobbiamo rifiutare l’idea che basti cambiare i luoghi per migliorare la vita. Serve invece un nuovo orizzonte di senso, capace di tenere insieme lo spazio e le relazioni, l’ambiente e la cura, l’abitare e il riconoscimento. Questa è la sfida politica che ci attende. E AUDIS, oggi, è pronta a raccoglierla.

Per questo con questo numero della nostra newsletter, nell’anno del trentennale dalla fondazione di AUDIS, apriamo un forum per capire quel è davvero “la città che vogliamo” e come possiamo fare, se non a conseguirla, almeno a perseguirla coerentemente. Lo apriamo con questo primo bell’articolo del nostro associato storico Roberto malvezzi e speriamo con i contributi di tutti voi a partire dai prossimi numeri.

 

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Foto di Mark König su Unsplash


07/05/2025
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