Un rapporto delle Nazioni Unite recita che “Una buona governance determina l’efficacia dei sistemi abitativi”. Ha preso le mosse da questo assunto l'incontro avvenuto a Torino un paio di settimane fa nell’ambito del Congresso dell’Anci. Moderati e stimolati dal nostro presidente Tommaso Dal Bosco, sono intervenuti 4 amministratori locali di diverse realtà italiane (Torino, Parma, Napoli e Novara) per portare i loro contributi, dopo le introduzioni di Federica De Luca dell’Inapp e di Andrea Failli dell’Osservatorio Sociale Regione Toscana, che hanno mostrato le loro ricerche in materia. Il panel, davvero interessante, è disponibile a questo link su Youtube. A margine dell’evento abbiamo incontrato Federica De Luca per approfondire il suo lavoro.
Salve Federica, iniziamo la nostra chiacchierata introducendo l’ente di cui lei fa parte, l’Inapp, una sigla molto meno nota al grande pubblico rispetto ad altri istituti di ricerca che svolgono un ruolo simile.
«L’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (Inapp) è un Ente pubblico di ricerca di rilevanza nazionale, vigilato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che si occupa di studio, ricerca, monitoraggio e valutazione delle politiche pubbliche relativamente al lavoro (politiche attive e passive), alla formazione, alla protezione sociale, al terzo settore, all’inclusione sociale, e tutte le politiche che producono effetti sul mercato del lavoro. Pur essendo meno “famoso” di altri Enti Pubblici di Ricerca come, ad esempio, l’ISS (Sanità), l’Ispra (Ambiente) o l’Enea (energia, sviluppo sostenibile), forse anche perché ha cambiato nome solo di recente, anche il nostro è un ente autonomo nella produzione dei propri dati e delle proprie ricerche, vigilato dal ministero di riferimento».
Tra le vostre ricerche, parliamo di quella che riguarda le politiche dell’abitare.
«La portiamo avanti in collaborazione con IFEL Fondazione ANCI, partendo dalla consapevolezza di quanto la povertà abitativa stia crescendo nel nostro Paese e di quanto la questione dell’abitare sia centrale nelle politiche di contrasto alla povertà (relativa e assoluta). La domanda che ci stiamo ponendo è relativa al ruolo della “governance delle politiche per l’abitare” rispetto all’efficacia delle misure “messe in campo”. Ma qual è questa governance? Finora molti dei nostri intervistati -amministratori regionali, comunali, dirigenti di Agenzie per la Casa, ricercatori- ci hanno risposto che l’Italia è ad oggi priva di una politica strutturata e strutturale dell’abitare e di una governance nazionale chiara. In ogni regione, forse in ogni comune, ci si arrangia come si può».
La riprova è nella difficoltà atroce che riscontrate nel raccogliere dati omogenei e utili per il vostro lavoro.
«Sin da subito abbiamo dovuto constatare che in Italia non esiste ancora un Osservatorio Nazionale delle condizioni abitative e delle politiche attuate. L’Osservatorio Nazionale della Condizione Abitativa (Osca) “per migliorare politiche e progetti in risposta alle esigenze delle comunità e dei territori” era stato istituito dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Enrico Giovannini nel 2022 (a distanza di 22 anni dalla sua previsione normativa) ma ad oggi non ci risultano dati realizzati da questo osservatorio. Attualmente, i dati disponibili provengono dagli Osservatori Regionali, nei rari casi in cui esistono e lavorano bene, oppure da Istat, sulla base di dati campionari che confluiscono nell’osservatorio internazionale sull’accessibilità alla casa realizzato dall’OECD. La mancanza di fonti ci impedisce di definire con precisione il fabbisogno abitativo o di valutare l’efficacia delle politiche implementate per tipologia di misura. Non abbiamo, per esempio, dati precisi sul patrimonio nazionale di Edilizia residenziale pubblica, non sappiamo quante famiglie hanno bisogno di un contributo per l’affitto, né quante siano con precisione le misure e le risorse messe in campo. Abbiamo Programmi Nazionali di rigenerazione urbana importanti come il PINQUA che sono ben rendicontati ma non possiamo sovrapporli al complesso delle politiche abitative del nostro paese. Dai comuni stiamo ascoltando un vero grido di disperazione per la mancanza di progettualità e di risorse».
Se gli osservatori regionali sono obbligatori per legge, perché questo caos?
«Ci sembra di capire che ogni regione abbia interpretato la legge secondo i suoi bisogni e le sue possibilità, ciò accade perché manca a livello nazionale una governance chiara e risorse strutturali. Basti pensare che i fondi per le politiche abitative arrivano alle regioni ogni anno in base a quello che avanza nella manovra di bilancio, così ci spiegano. Se avanza. Tant’è che l’anno scorso il governo ha addirittura soppresso il fondo per il sostegno all'affitto. Il risultato è una fotografia completamente frammentata in cui ognuno va per la sua strada, non si riesce a fare rete anche perché i vari osservatori tra loro non si parlano e in ogni caso non parlano la stessa lingua. Addirittura, stanno nascendo degli osservatori a carattere comunale, proprio perché ognuno cerca la sua strada».
A cosa si deve questa sorta di caos delle competenze?
«La materia è stata sempre di competenza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (attuale MIT), sin dai tempi delle IACP. Negli anni ‘60 e ’70 il Ministero delle Infrastrutture costruiva case popolari, interi quartieri addirittura, al bisogno di casa, in quella fase storica, si rispondeva costruendo case (e consumando suolo). La dimensione era prettamente edilizia, ecco perché aveva senso che la governance fosse prevalentemente di carattere urbanistico. Ora la prospettiva è cambiata, non si parla più di politiche della casa ma di “politiche abitative o per l’abitare” e di “welfare abitativo”, non solo case popolari, anche sostegno all’affitto e social housing. Un cambiamento sostanziale che dovrebbe guardare anche alla dimensione sociale dell’abitare. In molte regioni questo sta avvenendo e le competenze si stanno diversificando insieme ai bisogni. Comunque, con la riforma del Titolo Quinto, la gestione di queste politiche è stata “quasi” interamente delegata alle Regioni e, “a cascata”, ai comuni, che restano i proprietari prevalenti del patrimonio pubblico abitativo dei propri territori».
Come operate in questa situazione?
«Cercando appunto di ri-costruire un quadro delle politiche abitative in Italia, partendo dai modelli di governance regionali. E quello che ci sembra di capire, è che esistono 3 modelli abbastanza marcati. Al Sud vige ancora il vecchio modello “urbanistico”, le politiche della casa e quelle sociali non dialogano affatto. Il modello “centro-nord” vede un tentativo di dialogo tra le varie competenze. Poi c’è il modello “Lombardia”, dove l’emergenza abitativa si fa sentire ed è stato istituito un assessorato regionale dedicato solo alle politiche per l’abitare che attrae a sé competenze urbanistiche e sociali. Quanto questo produca risultati efficaci non siamo in grado di dirlo».
Il 70% degli italiani vive in una casa di proprietà, un elemento che ha da sempre contraddistinto il nostro Paese, forse il motivo per cui abbiamo sempre preso sottogamba il problema. Che invece c’è ed è sempre più evidente.
«Se guardiamo a Francia e Germania che sono da sempre i Paesi con cui facciamo i confronti, vediamo che la percentuale dei proprietari scende a 38% e 25%. In questi paesi prevale l’affitto, anzi in Francia, fra chi è a basso reddito, prevale la popolazione che vive in affitto sovvenzionato. Questione culturale, si sa, ma “mamma Francia” non lascia nessuno senza un tetto sulla testa, non per niente lì esiste un ministero per la casa. Da noi i numeri relativi all’affitto sovvenzionato sono residuali. Chi non può permettersi di comprare casa o di accendere un mutuo ha come unica scelta quella di rivolgersi all’affitto di mercato, che però è sempre più caro».
E pesa sempre di più sul reddito di una famiglia.
«Si, una volta l’affitto era l’alternativa sostenibile al mutuo, adesso il canone rischia di pesare sul reddito quanto il mutuo. Se le spese per la casa superano il 40% del tuo reddito sei considerato in sovraccarico, perché poi non ti resta il necessario per la cura della famiglia, la salute, la mobilità, l’alimentazione. L’Italia ha tassi di sovraccarico importanti, anche in affitto, soprattutto fra le famiglie a basso reddito, ed è prima in Europa per sovraffollamento, cioè il rapporto tra dimensioni della casa e abitanti. Una cosa può essere conseguenza dell’altra: per non andare in sovraccarico accettiamo di vivere in case sempre più piccole e inadeguate, o scegliamo di abitare in tanti sotto lo stesso tetto. Si stima che in questo momento in Italia vivano in condizioni di “disagio abitativo” circa 5 milioni di persone, l'8% della popolazione, percentuale che sale al 32% se ci concentriamo su chi vive in affitto. Dai dati Istat emerge che la popolazione in affitto è quella che soffre le peggiori condizioni economiche e “strutturali” e, forse, è a questa popolazione, che non riesce più a reggere i prezzi di mercato, che bisogna guardare in termini di politiche dell’abitare. Alla politica spettano le risposte, noi possiamo solo provare a comprendere meglio i problemi».