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Insieme verso la città che vogliamo

Insieme verso la città che vogliamo

E così ci avviamo verso la fine di quest’anno che ha segnato il trentennale di AUDIS. Abbiamo dibattuto sull'opportunità di fare un evento, una festa, un convegno. Alla fine abbiamo fatto una scelta semplice ma impegnativa: rimettere a fuoco la città che vogliamo e dirlo con chiarezza, fuori dai recinti di categoria. Il ciclo Next (Re)Generation non è stato un giro di convegni, ma quattro seminari di lavoro sulla sostenibilità economica, sociale, ambientale e, soprattutto, spaziale. Li abbiamo pensati come un invito aperto a chi lavora sulla città, dai Comuni alle imprese di prossimità, dal terzo settore alla ricerca, perché la rigenerazione non è proprietà di nessuno e riguarda la vita quotidiana di tutti.

Abbiamo inviato ai soci il report conclusivo come atto di trasparenza. Ma non ci fermiamo qui: insieme a loro stiamo costituendo una task force che, coinvolgendo anche tutti i panelist dei quattro incontri, redigerà un documento base da discutere in un evento pubblico. Lì vogliamo trasformarlo, con il contributo di tutti, in un Manifesto per “la città che vogliamo”. La rotta è aperta, la porta pure.
Un grazie sincero a chi ha reso possibile il percorso: Roberto Malvezzi (CNR), Serena Maioli e Marta Andrei (ART-ER) per la regia metodologica e le restituzioni; Matteo Belluti per la comunicazione; Mariana Modolo e la squadra Harley & Dikkinson per l’organizzazione. E grazie ai discussant esterni ad AUDIS: la scelta di non “autocitarci” è voluta, perché crediamo nell’ibridazione come condizione per fare passi avanti.

Cosa ci lascia questo ciclo (e perché interessa a tutti)
1)
Dalla rendita al valore urbano.
Se misuriamo la trasformazione solo con la metrica immobiliare, perdiamo coesione e competitività. Il valore oggi nasce anche da prossimità ai servizi, qualità dello spazio pubblico, piani terra vivi, reti pedonali e ciclabili reali. È qui che si crea sviluppo locale e si attrae capitale paziente.
2) Sociale come motore, non come compensazione.
La rigenerazione è tale se riduce disuguaglianze e costruisce abitabilità. L’economia sociale non è “terzo tempo”: è parte della macchina che presidia quartieri, servizi e comunità. Vogliamo patti di esito che assegnino ruoli e responsabilità, non passerelle.
3) Ambiente come infrastruttura di salute e mobilità.
La transizione è credibile quando connette energia, aria, suolo e come ci muoviamo: continuità degli spazi pubblici, reti verdi e blu, mobilità dolce. Non “capitoli” separati, ma scelte coerenti che riducono costi sociali e sanitari.
4) La sostenibilità spaziale come quarto pilastro.
Lo spazio non è neutro: decide chi accede a cosa, in quanto tempo e con quale qualità. Per questo proponiamo di farne un criterio operativo: standard minimi di prossimità, micro-centralità connesse, patti di quartiere con indicatori pubblici, prove rapide prima delle grandi opere. È qui che la rigenerazione diventa misurabile e non retorica.

Oltre gli slogan
Siamo allergici alle parole-ombrello usate come scorciatoie: PPP, ESG, “smart city”, “resilienza”, “innovazione”, “living lab”, “place-making”, “rigenerazione integrata”. Sono etichette utili solo se collegate a metodo, standard e verifiche. Altrimenti restano cornici comunicative inutili o, peggio, che fungono da copertura cosmetica a processi estrattivi. La città che vogliamo non si fa a colpi di hashtag: si fa con poche regole chiare, alleanze reali, responsabilità condivise e metriche pubbliche.
Per questo, nel nostro documento, porteremo alcune scelte esigenti:
• Standard di prossimità e di spazio civico come prerequisito dei progetti di rigenerazione.
• Passaggio da progetti “a oggetto” a patti di esito con indicatori semplici: tempi di accesso ai servizi, ore di apertura degli spazi comuni, usi attivi dei piani terra.
• Attivazione di capitale paziente con strumenti blended e garanzie mirate dove l’impatto sociale è maggiore, evitando rendite travestite.
Capacity building per le amministrazioni su programmazione per risultati, governance di quartiere e gestione dei conflitti.

Un invito oltre AUDIS
Questo percorso è nato in AUDIS, ma non si esaurisce in AUDIS. Chiunque condivida questa impostazione —Comuni, imprese di prossimità, cooperative e fondazioni, università e centri di ricerca, professionisti— è invitato a contribuire alla definizione di questo position paper. Vogliamo una task force aperta, capace di generare proposte operative e replicabili, non solo “principi”.

Un augurio impegnativo per i trent’anni
Ci portiamo a casa due parole: fiducia e responsabilità. Fiducia perché la discussione ha mostrato disponibilità a collaborare fuori dalle appartenenze. Responsabilità perché adesso abbiamo gli elementi per dire cosa non è rigenerazione e cosa diventa tale quando riduce disuguaglianze, accorcia i tempi di accesso e lascia infrastrutture sociali funzionanti.
Il report ai soci è il punto di partenza. La task force è la strada. Il position paper è l’approdo. Se vogliamo davvero “la città che vogliamo”, dobbiamo anche dire come vogliamo farla: metodo, standard, esiti. Senza feticci, senza slogan. Con il contributo di tutti.

Ai soci, ai partner e a chi vorrà unirsi: continuate la discussione con noi. Il position paper sarà tanto più utile quanto più conterrà impegni misurabili e pratiche replicabili. È il modo migliore per celebrare i trent’anni di AUDIS: non con un album di ricordi, ma con una rotta chiara per incidere sulle politiche pubbliche e sul modo in cui si fanno — davvero — le città. 
Ci rivediamo nel 2026. Tanti auguri a tutti.

 

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Foto di Ryoji Iwata su Unsplash


09/12/2025
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