La coppia di seminari organizzati da iFEL il 12 e il 14 ottobre su partenariato pubblico privato e rigenerazione urbana hanno avuto il merito di aprire una nuova strada per intendere il partenariato pubblico privato sottraendolo alla riduttiva concezione che sembra esprimere il codice dei contratti pubblici e di riconoscere il lavoro che AUDIS, Università di Parma e città Metropolitana di Milano, proprio su questa linea, hanno fatto sul Piano per la mobilità sostenibile della medesima area metropolitana.
Non un modo per fare opere pubbliche a cui ricorrere quando non ci sono soldi pubblici, ma un modo più rapido, efficace e trasparente di interpretare l’attuazione di strategie territoriali complesse come, appunto, è un PUMS. Trasformandolo in una autentica operazione, di riequilibrio territoriale, di rigenerazione delle periferie, di trasformazione delle dinamiche, dei tempi e della vivibilità urbane.
Dopo anni di frustrazioni indotte dalla obiettiva impossibilità di soddisfare con i meccanismi tradizionali della spesa pubblica le ambiziosissime soluzioni squadernate da decine di piani (in Italia sono più di 150), la soluzione che AUDIS ha profilato insieme all’Università di Parma, grazie alla disponibilità della città Metropolitana di Milano - ma che ha le sue radici in una lunga e a tratti dolorosa esperienza che ho fatto personalmente sul finanziamento delle infrastrutture sociali (direttiva MIUR 2013) - dimostra che un’altra strada è possibile.
Ed è una strada che permette di traguardare veramente gli obiettivi di transizione energetica, ecologica e digitale, la riduzione del gender gap sul lavoro e, complessivamente un miglioramento della qualità urbana che, altrimenti, si schianterebbero contro il muro della spesa pubblica rigida, inefficiente e insufficiente.
Un grande programma di rigenerazione basato su atti programmatori autonomi dei territori (città metropolitane, comuni, province o aggregazioni territoriali) come ho dichiarato anche a Ferruccio de Bortoli per un bell’articolo che ci ha dedicato sul Corriere Economia di lunedì 25 che disintermedia le burocrazie ministeriali e regionali restituendo loro quella autonomia programmatoria, operativa e aggregativa (quest’ultima inutilmente perseguita per obbligo di legge da 11 anni) che la gestione dirigistica della spesa centralizzata di fatto continua a negare loro, finendo per costituire l’ostacolo più importante all’avvio di processi di rigenerazione urbana come la intendiamo noi di AUDIS.
Il problema della disponibilità di risorse finanziarie nella concezione subalterna alimentata dai rapporti Stato – Territorio che siamo abituati a conoscere, obbliga gli amministratori locali ad irrigidire tutti i passaggi programmatori a partire dalla formazione del quadro dei fabbisogni di un territorio esponendolo al rischio di un percorso lungo in cui potresti arrivare faticosamente quasi alla meta e dove non è infrequente perdere tutto per un mancato adempimento procedurale, per il ritardo di un giorno, oppure per la insufficienza delle risorse necessarie a completare l’investimento programmato.
Questa logica si contrappone alla creatività e alla dinamicità che connota invece l’azione locale, non solo di molte amministrazioni, ma anche di tutte le forze sociali, organizzate e non, che vogliono dire la loro sullo sviluppo della loro comunità e che invece vengono insopportabilmente represse e depresse. Una logica che ha un effetto perverso anche sulla rappresentanza democratica perché spinge a scegliere rappresentanti in grado di assicurare rapporti lobbistici e ad intermediare fondi pubblici.
Quello che voglio dire è che la soluzione proposta da AUDIS (il report finale sarà presto disponibile sul nostro sito) non è una semplice soluzione finanziaria ma un paradigma innovativo e partecipativo che profila una nuova cittadinanza.
Il dibattito pubblico se ne sta accorgendo e noi stiamo facendo un infaticabile lavoro di disseminazione che punta, per questa via, a cambiare il Paese. A renderlo più giusto e sostenibile. Molto più di come potranno contribuire a farlo i rigidi protocolli a cui dovranno attenersi i comuni se vorranno provare a contendersi i fondi del PNRR.