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Un nuovo assetto per fare la cosa giusta

Un nuovo assetto per fare la cosa giusta

Nella stagione in cui, per la prima volta, la locuzione “rigenerazione urbana” entra nell’ordinamento giuridico del nostro Paese, e ne fa anche una bandiera del piano nazionale che dovrebbe riscattarci dalla pandemia disegnando l’Italia nella quale tutti avremmo diritto di vivere, ancora il Presidente della Repubblica è costretto a recarsi in una delle periferie simbolo delle nostre metropoli, Corviale, ad esprimere ammirazione per la capacità di resilienza dei suoi abitanti e paternalistica consolazione rassicurandoli sul fatto che lo Stato pensa a loro.

Siamo stati sempre molto critici da queste pagine (elettroniche) circa le modalità che lo Stato ha adottato per andare incontro alle esigenze di trasformazione delle città. Trent’anni fa con l’inaugurazione della stagione dei programmi complessi, lo Stato si fece carico della necessità di innovare i meccanismi del suo intervento a sostegno di questi processi.

Nacquero così i PRU, i PRUSST, i patti territoriali, i contratti di quartiere, i PUV, i PUVAT, acronimi con i quali per lunghi anni siamo stati costretti a familiarizzare e che avevano come presupposto la consapevolezza che i piani di trasformazione territoriale avevano la necessità di essere pensati e interpretati in una logica di integrazione tra funzioni pubbliche e iniziativa privata.


Non sono state tutte rose e fiori ma esprimevano uno Stato attivo, creativo e con una strategia chiara e, certamente, condivisibile.

Purtroppo, dagli anni 10 del terzo millennio, lo Stato sembra aver dimenticato questa lezione. Ha smesso di elaborare le strategie necessarie per affrontare processi che, nel tempo, come insegna Bauman, si sono via via fatti più complessi, e ha scaricato sugli enti locali sempre più soli e depotenziati dalla “austerità competitiva” l’intera responsabilità di elaborare metodi e strumenti per compensare gli squilibri delle sempre più veloci e traumatiche trasformazioni sociali, spinte dall’innovazione tecnologica e dalla globalizzazione finanziaria.

In questi anni, attraverso programmi di spesa via via sempre più munifici grazie al PNRR, lo Stato si è limitato a raccomandare la collaborazione tra pubblico e privato – anch’essa ormai ridotta al freddo acronimo ppp e ingabbiata nei rigidi schemi del codice degli appalti - rifiutandosi però di abilitarla con misure che favoriscano il dialogo, il superamento delle asimmetrie, iniziando con il dare i tempi necessari al suo innesco e alla sua maturazione.

In una parola, di farla evolvere trasformandola in una risorsa necessaria per lo sviluppo sostenibile. A cominciare dal problema di riconoscerne la dimensione immateriale ma di rifiutarsi, per motivi contabili, di finanziarla.

Ho più volte stigmatizzato la melassa retorica che attribuisce al PNRR virtù taumaturgiche con la sola imposizione del flusso finanziario su una Pubblica Amministrazione concepita per risparmiare e che, improvvisamente, si ritrova a dover spendere (e tanto…) per raggiungere obiettivi decisi da altri (l’Europa) e senza una propria strategia.

Ma AUDIS, alla critica, ha sempre accompagnato anche la proposta.
Soffre piuttosto di una ridotta capacità di imporre le proprie tesi al dibattito pubblico portandole all’attenzione dei policy makers.

Intendiamoci, un problema che hanno corpi intermedi anche molto più potenti di noi e che formulano domande più semplici, vien da dire più basiche: l’aumento quantitativo della spesa, l’allargamento delle maglie valutative nei bandi, la generica riduzione degli adempimenti
procedurali, ecc...

Più difficile per noi che intendiamo incidere in modo molto più radicale e legato alla dimensione qualitativa di questi processi.
In ogni caso, nel nostro nuovo e più ambizioso assetto organizzativo, intendiamo rafforzare questa funzione.

Abbiamo negli anni dimostrato di saper lavorare a strategie per ottimizzare i meccanismi di investimento previsti dallo Stato (ecobonus) e per elaborarne di nuovi (OICR), sempre rimanendo saldi sui valori di sostenibilità che da sempre connotano la nostra azione e sforzandoci di restare
ancorati ad una dimensione di concretezza e fattualità.

Oggi per AUDIS la sfida è quella del riconoscimento degli strumenti e delle strategie elaborate negli anni, non solo come utile riflessione di frontiera di cui discutere nei convegni, ma come prototipi da testare e adottare per superare la pigra perpetrazione del logoro paradigma della spesa pubblica che ci induce a cercare di fare meglio la cosa sbagliata per fare, finalmente, la cosa giusta.

Tommaso Dal Bosco


27/02/2022 editoriale
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