Pubblichiamo l'articolo di Dionisio Vianello, presidente onorario AUDIS, apparso il 21 giugno 2018 su Quotidiano Immobiliare
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Un tempo lontano, un secolo fa, prima del “cambiamento”, succedeva così. Quando si approssimava la scadenza elettorale tutti i soggetti interessati a vario titolo ai problemi dell’ambiente, della città e della casa, entravano in fibrillazione. Tutti, dico tutti, dal versante pubblico – governo, partiti, parlamentari, amministratori – al mondo privato – imprese, immobiliaristi, fondi e finanza – al mondo professionale – ingegneri, architetti, urbanisti, geometri – alle associazioni culturali.
Quello era il momento giusto per portare a casa qualcosa: sempre ed al primo posto la nuova legge urbanistica; ma in mancanza anche una legge su qualche tema specifico (consumo di suolo e altro), ma alla fine ci accontentavamo anche di qualche articolo inserito di straforo nell’assalto all’ultima diligenza che raccoglieva tutti gli scarti della legislatura. E giù ad organizzare convegni, improvvisamente frequentati da ignoti parlamentari alla ricerca di una improbabile rielezione, si predisponevano corposi documenti, come ordini si partecipava ad affollate audizioni parlamentari per discutere degli ultimi PdL.
Alla fine, tirando le somme, i risultati erano decisamente deludenti, per non dire insignificanti. Premevano sui parlamentari ben altre istanze, molto più concrete, i grandi discorsi sulla città e sul territorio potevano ben aspettare la legislatura successiva. Per cui agli interessati non rimaneva altro che presentare al nuovo governo – sostanzialmente analogo al precedente – i programmi che avrebbero dovuto costituire la guida per il nuovo mandato.
Ebbene, il cambiamento c’è stato e come.
Mai in nessuna campagna elettorale si è parlato così poco, anzi proprio niente, di urbanistica e di edilizia. Tutta l’attenzione è stata concentrata sul tema dei migranti e della sicurezza in un clima di perenne far west dove chi spara per primo ha sempre ragione. E purtroppo la campagna elettorale non è affatto finita, il problema dei migranti è sempre in primo piano, Salvini ne ha fatto il suo cavallo di battaglia e lo sfrutta fino all’impossibile alla ricerca di un sempre maggiore consenso. Gli altri argomenti, pure interessanti e pregevoli, non trovano alcun spazio di fronte alla sfida del secolo.
Il suo alleato Di Maio che si occupa dei temi del lavoro, dovrebbe essere più sensibile. Anche perché è un fatto incontestabile che la crisi dell’occupazione può essere risolta solo se si rilancia l’edilizia. Ma con decisioni del genere non si va in TV in prima serata, e soprattutto non si scrive la storia, come sembra sia l’ambizione del nostro. Totale indifferenza dunque da parte della classe politica nazionale, né a tempi brevi si ravvisano segnali di ravvedimento (operoso, si spera).
E sì che ce ne sarebbero cose da fare! Anche se per fortuna, ultimamente alcune regioni hanno legiferato in materia di consumo di suolo e rigenerazione, sostituendosi in qualche modo all’inerzia dello Stato. Ma le altre regioni cosa faranno? Finora bene o male si sono arrangiate coprendosi con la legislazione statale, a partire dall’eterna ed immarcescibile legge urbanistica nazionale del 1942, che Dio ce la conservi! Ma di fronte ai nuovi problemi emersi con la crisi lo scudo tradizionale non offre più la protezione di un tempo, le vecchie armi sono tutte spuntate.. Di fronte ad un mondo politico sordo e in tutt’altre faccende affacendato cosa fanno i più diretti interessati? A me sembra che si dedichino ad altro, aspettando tempi migliori. “A’ da passà a nuttata!” è il lamento comune! Ma la politica dello struzzo non ha mai portato a risultati minimamente apprezzabili. Anche perché si tratta di un mondo frammentato, frazionato in mille piccole corporazioni, ognuna delle quali ha visuali ed obiettivi diversi; e quindi del tutto irrilevante per un politico.
Per cui la prima cosa da fare sarebbe quella di mettersi attorno ad un tavolo e provare se si riesce a trovare un accordo almeno su alcuni argomenti sui quali costruire un minimo di programma comune. Compito non è certo facile perché ognuno degli attori è convinto che solo la sua sia la ricetta giusta, e considera un peccato mortale rinunciare anche ad una minima parte del suo programma. Questa, a mio parere, è la conditio sine qua non, altrimenti saremo tutti condannati all’irrilevanza. Se c’è un minimo di disponibilità si può cominciare a ragionare sui problemi e sulle proposte.
Cominciamo da quello che non vale la pena di fare, forse è più semplice. Non è certo il caso di presentare grandi programmi, non troverebbero ascolto. Meglio indicare pochissime cose, concrete e fattibili. Tenendo conto di una situazione che condiziona ogni discorso, la crescente ed inarrestabile divaricazione che intercorre tra nord e sud. Per cui quando si approva una legge dello stato la si riempie di inciampi e controlli nell’intento di contrastare la corruzione dilagante; con il risultato di di complicare inutilmente la vita alle amministrazioni più virtuose che la rispettano alla lettera, nel mentre non serve a dissuadere i malfattori che operano dentro e fuori alle pessime amministrazioni. Venendo ai problemi.
Lo Stato deve almeno definire i principi generali in materia di politica del territorio, validi per tutto il territorio nazionale dalle Alpi al Lilibeo. Una legge quindi sulla sostenibilità, sul consumo di suolo, sulla rigenerazione, che sia però una legge di pochi articoli, una legge di indirizzi, sull’esempio di quella tedesca, e non un guazzabuglio come la defunta 2239 che pretendeva di definire cose improbabili come la quantità massima di suolo utilizzabile nel prossimo decennio, da distribuire poi alle regioni e da queste ai comuni. Creando in tal modo un rissoso pollaio di tutti contro tutti, come dimostra l’esperienza della legge veneta che ha incautamente seguito questa strada sciagurata. E poi ancora qualche intervento di manutenzione straordinaria dei caposaldi legislativi vigenti, ad esempio sul fatidico ma superato DM 1444/1968 sugli standard, sul rapporto pubblico-privato (accordi di programma, perequazione e quant’altro).
Sarebbe troppo chiedere un provvedimento a sostegno della competitività, ad esempio quella di mettere a gara i progetti strategici come lo Stadio della Roma (o del Milan) senza lasciarli in balia del Parnasi di turno? Sì, probabilmente sarebbe troppo, accontentiamoci di quel che passa il convento senza chiedere la luna. Ma il “cambiamento”, quello vero e non quello sognato, si sta verificando concretamente nel mondo dell’urbanistica e dell’edilizia.
In un periodo di intensa e profonda trasformazione come l’attuale la cosa più sbagliata è quella di ingessare in una gabbia di legge una realtà ancora in forte divenire. La parola d’ordine sia invece sperimentazione, dare spazio (e risorse) alle amministrazioni ed agli operatori che in mezzo a mille difficoltà si sforzano di ricercare strade nuove. E’ su questi uomini di buona volontà che contiamo per un vero cambiamento. Tra qualche anno tireremo le somme, forse avremo le idee più chiare, allora sarà il momento di scrivere il nuovo decalogo.
Dionisio Vianello
Pubblicato il 21 giugno 2018 sul Quotidiano Immobiliare