L'editoriale del Presidente Tommaso Dal Bosco
Quando, qualche mese fa, in questo stesso spazio ho commentato il libro di Gianni Barbacetto dedicato a Milano, avevo già espresso le mie riserve sul modello di sviluppo urbanistico della città. Non immaginavo che quelle stesse criticità si sarebbero presto riflesse in un’inchiesta giudiziaria così grave e mi sento quindi un po’ costretto a tornare sull’argomento.
Come già detto allora, non lo faccio certo per entrare nel merito giudiziario –alla magistratura e alla politica spetta il compito di accertare responsabilità e ridefinire gli assetti istituzionali– ma per ribadire che il dibattito pubblico non può esaurirsi nei soli registri dell'indagine e della polemica politica.
Il nodo, per noi, è un altro: al di là dei profili etici o legali, il modello di sviluppo urbano di cui Milano (che non l’ha inventato) anche per meriti suoi ha potuto godere, presenta squilibri sistemici non più tollerabili. È su questi squilibri –tra capitale e territorio, tra investimenti e qualità della vita, tra crescita e inclusione– che occorre intervenire con urgenza e con visione.
Gli arresti per corruzione nel settore urbanistico milanese ripropongono, con trent’anni di distanza, interrogativi antichi e sempre più urgenti: chi governa davvero le trasformazioni della città? Quali sono gli strumenti, le regole, le contropartite? E a vantaggio di chi?
Non si tratta solo di condannare i singoli episodi: la questione è strutturale. Non riguarda Milano soltanto, ma tutta l’Italia. Il fatto che a Milano —simbolo della modernità urbanistica italiana— esploda questo scandalo ci obbliga a riconoscere il fallimento di una governance che, negli ultimi decenni, ha promosso grandi operazioni immobiliari senza costruire un sistema pubblico all’altezza delle sfide urbane contemporanee: accessibilità, qualità dell’abitare, equilibrio tra capitale e diritti.
La “rigenerazione urbana” —concetto ormai più che logoro, specie se ascoltato nella aule giudiziarie— rischia sempre più di essere svalutato, buono da spendere per ogni operazione. In nome della “rigenerazione” si sono costruite nuove torri, non nuove comunità; si sono attratti investimenti, ma espulsi i residenti. Si è reso “vivibile” il paesaggio per chi può pagarlo, ma sempre meno vivibile per chi deve abitarlo.
AUDIS vuole rompere questa ambiguità. Per noi, rigenerare significa altro: mettere al centro le persone, la qualità degli spazi e la sostenibilità sociale degli investimenti. Non ci interessa difendere un ritorno al dirigismo pubblico, né cavalcare retoriche decrescitive o nostalgiche. Ma non accettiamo nemmeno che il mercato, lasciato a sé stesso, venga celebrato come unico motore del cambiamento.
Il caso Milano ci ricorda che dove non c’è una regia pubblica capace, la rendita prende il sopravvento. E dove la rendita comanda, la città si ammala. AUDIS lavora per un'altra idea di città: più giusta, più trasparente, più viva.
::::
Foto di Max K. su Unsplash