Proseguiamo il racconto a puntate del progetto sperimentale sugli Oicr-Esg (qui la prima, qui la seconda, qui la terza puntata), ideato e portato avanti insieme all’Università di Parma e alla Città Metropolitana di Milano. Un lavoro sperimentale, che sta già dando frutti tangibili, su come possano essere trasformati i processi di rigenerazione urbana e su quali strumenti si possa contare per essere attuativi di strategie pubbliche e, allo stesso tempo, concretamente fattibili. Nella quarta puntata parliamo di come orientare investimenti mirati verso centri di sostenibilità
di Roberto Nastri
Nel secondo articolo qui pubblicato ho accennato ad un primo passo importante compiuto dalla ricerca-azione: la creazione di un advisory board, a cui partecipano Ferrovie dello Stato, l’Associazione Italiana delle Imprese di Assicurazione, la Banca Europea degli Investimenti, Società di gestione del Risparmio e gruppi multinazionali orientati al decentramento del lavoro quaternario mediante soluzioni di lavoro ibrido, dove i partecipanti possono trovare le intese necessarie per cooperare alla realizzazione della città-regione multipolare qui rappresentata.
Il secondo passo, solo in parte compiuto, è l’analisi dei flussi di cassa operativi (opex), necessari per remunerare gli investimenti in infrastrutture sociali, che possono confluire al centro degli ambiti di sostenibilità indicati con i cerchi bianchi, neri e rossi.
Flussi di cassa operativi di cui fanno parte:
• risorse private, per lo più afferenti allo welfare aziendale, destinate a mettere a disposizione spazi di lavoro nei pressi delle case dei dipendenti, asili e centri diurni anziani, per promuovere uno smart working di qualità, contrastare il pendolarismo e contribuire alla rivitalizzazione dei territori di margine.
• risorse pubbliche – opex, non capex – finalizzate, ad esempio, a garantire la gratuità di parcheggi d’interscambio in struttura, per favorire lo shift modale tra auto privata e treno, o anche a mettere a disposizione spazi per la medicina del territorio, come le case della Comunità o gli Ospedali di Comunità. E molte altre ancora.
Mettere a disposizione, come ho accennato nel terzo articolo, non significa costruire, ma destinare una parte dei costi di esercizio di un determinato servizio, nel quadro dello welfare aziendale o dello welfare pubblico, all’acquisizione, mediante contratti di disponibilità, dei beni strumentali necessari per erogare tale servizio. Una parte per lo più marginale, anzi in taluni casi direi irrilevante dei costi di esercizio complessivi di un determinato servizio.
Ad esempio, la spesa sanitaria afferente alla città–regione qui rappresentata, nella quale vivono 4,5 milioni abitanti, è intorno ai 10 miliardi/anno, mentre il costo della disponibilità dei beni strumentali necessari per un’efficace medicina del territorio non supererebbe i 10 milioni/anno, ossia lo 0,1% della spesa sanitaria in questione.
Ed è così per molti altri servizi.
Di conseguenza la concentrazione in alcuni punti del territorio - ad esempio nei 20 da noi rappresentati – di risorse irrisorie in rapporto al costo di esercizio dello welfare privato e dello welfare pubblico consentirebbe di realizzare agevolmente, in pochissimo tempo, la città pubblica diffusa qui ipotizzata, senza attendere capex pubblico aleatorio, insufficiente, mal distribuito e sovente mal gestito.
In pratica, gli opex sono il “collante” che consente di unire le forze presenti nello advisory board della ricerca-azione in progetti comuni. Ed anche il “carburante” necessario per la governance territoriale: per indirizzare le trasformazioni territoriali verso un “telos” pubblico, anziché adattare il “telos” pubblico alle trasformazioni territoriali operate da imprese private mediante varianti “ad hoc” agli strumenti urbanistici generali, come spesso accade.
La figura 1 rappresenta l’attuale distribuzione degli capex (capitali d’investimento) privati e pubblici nel territorio: dove capita, senza una “regia” complessiva, anche per effetto della distribuzione di risorse pubbliche per bandi, per lo più riservati ai Comuni in competizione tra loro per accaparrarsele. E Il PNRR non fa eccezione.
Non a caso, a pag. 264, l’Agenda Urbana del MIMS afferma ”per le città metropolitane principali (o almeno per Milano, Roma e Napoli) sarebbe utile uscire dalla logica della procedura per bandi e ragionare in un’ottica di collaborazione tra i vari livelli istituzionali su piani a lungo termine di investimento volti a raggiungere determinati obiettivi”. Ed ancora “Per le città metropolitane i contributi episodici producono risultati che da un lato drenano risorse che altrove sarebbero rilevanti, dall’altra finanziano interventi che non fanno la differenza su scala metropolitana".
La figura 2 rappresenta una distribuzione dei capex che deriva, invece, dalla capacità d’indirizzare gli opex verso taluni luoghi centrali per la realizzazione di un disegno territoriale preordinato: la città-regione multipolare.
Gli opex da noi considerati sono di due tipi, come indica la figura che segue: esogeni o endogeni rispetto ad uno stesso ambito di sostenibilità. I primi hanno origine dal centro del sistema territoriale come, ad esempio, le risorse afferenti allo welfare aziendale nelle sue varie forme -mi riferisco, in particolare, alle grandi imprese di servizi avanzati situate nel centro di Milano– i secondi hanno origine, invece, dall’interno di ciascun ambito di sostenibilità, come ad esempio le risorse per l’uso di un’infrastruttura sociale condivisa tra più dai comuni: una scuola secondaria, un centro sportivo ecc.
Entrambi i tipi dovrebbero – e potrebbero – concentrarsi in aree dismesse o sottoutilizzate e in immobili pubblici dismessi o obsoleti, situati in un “nucleo” di 400 metri di raggio attorno al nodo del ferro, come prescritto dal PTM (Piano Territoriale metropolitano) e dal PUMS metropolitano, sulla base delle indicazioni del PTR (Piano Territoriale Regionale)
È utile, qui, rammentare le caratteristiche dell’ambito di sostenibilità nel territorio in oggetto:
- ha un raggio di circa 5 km, di conseguenza tutti i servizi racchiusi nel nucleo rappresentato nella figura sono raggiungibili al massimo in 15 minuti, in modalità “mobilità attiva”, da qualunque punto dell’ambito;
- comprende dai 5 ai 7 Comuni
- presenta una popolazione che varia tra 50.000 e 150.000 abitanti: una soglia sufficiente per sostenere i costi di esercizio di molti servizi di qualità di cui i piccoli centri sono carenti.
Nell’ipotesi più ottimistica, la concentrazione degli opex in determinati punti del territorio consentirebbe di ipotizzare agglomerazioni di servizi molto variegate e complete, in grado di rispondere alla maggior parte dei bisogni di una comunità, come mostra la figura che segue.
Se gli opex sono in parte privati ed in parte pubblici -afferenti ai compiti istituzionali di varie amministrazioni- il capitale d’investimento, nel modello che si propone, è sempre privato. Costituito, ad esempio, da quei risparmi che giacciono nei conti correnti o sono impiegati in investimenti a bassa remunerazione, sovente di nessuna utilità per il Paese.
L’advisory board della ricerca azione, per l’implementazione di un caso-pilota prodromico alla realizzazione della città-regione multipolare, sta valutando un FIA (fondo d’investimento alternativo) che potremmo definire ESG “nativo”, ossia finalizzato ab origine alla realizzazione di obiettivi di utilità generale e non invece solo “mitigato” da caratteristiche ESG, ritenendo che vi sia, nel mercato, una domanda di strumenti finanziari di questo tipo a fronte di una scarsità di prodotto.
Ecco che, allora, il termine partnership pubblico–privata assume un significato del tutto nuovo: non è più la singola impresa che, per perseguire i propri interessi, trova un’intesa preventiva con la parte pubblica, ma è l’intera comunità nazionale che contribuisce, con il proprio risparmio, alla realizzazione di un “telos” pubblico espresso dalle assemblee rappresentative con i piani territoriali di area vasta. La figura che segue rappresenta il flusso di denaro ipotizzato.